Rimini capitale della cultura 2026: folla in centro per la festa come a Capodanno. Missiroli racconta i suoni di “Rémni”

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Era un normale mercoledì di fine settembre ma ieri in centro a Rimini sembrava Capodanno. Una folla incredibile ieri sera ha riempito il cuore della città per la festa in occasione della candidatura della capitale delle vacanze a Capitale italiana della cultura 2026. Tantissima gente al punto che per trovare un parcheggio c'è chi ha impiegato anche mezzora. Affollati i musei, le piazze, la Domus del Chirurgo, il teatro Galli e tutti i luoghi della cultura riminesi.

Il racconto. «Ci candidiamo in virtù di quello che possiamo fare da qui in poi, e non solo di quanto fatto finora». Il sindaco Jamil Sadegholvaad interviene così al teatro Galli in occasione della presentazione del dossier di candidatura di Rimini a Capitale italiana della Cultura 2026. E in un dialogo aperto con due giovani, entrambe protagoniste di “Mare di Libri”– Viola, che compirà 18 anni nel 2026 e Giulia che invece maggiorenne lo diventerà nel 2027 –, ha ricordato un’altra ragazza, Allegra, che ad aprile aprì il percorso di redazione del dossier. Ha quindi sottolineato Sadegholvaad: «E’ giusto che, dopo 150 giorni, siano due ragazze, Viola e Giulia, giovani come Allegra, a spingere simbolicamente quel tasto “invio” che mette in linea e dunque immediatamente a disposizione dei riminesi e del mondo questo lavoro, questo sguardo sul futuro. Nei prossimi giorni il dossier verrà tradotto in varie lingue a significare quell’apertura all’altro che forse rappresenta il maggior pregio di questa città, dove chi viene non si sente mai straniero, anche se porta un cognome strano, come me». Il sindaco ha poi risposto ad alcune domande che le due ragazze, Viola e Giulia, hanno posto sul percorso di redazione del dossier: «Voglio rimarcare un aspetto che proprio Allegra aveva sottolineato lo scorso aprile nel suo discorso di apertura – ha detto Sadegholvaad –. “’E’ importante, per avvicinare i giovani alla cultura, renderla più accattivante, non concentrandoci solamente sugli aspetti più classici di essa. L’idea è quella dunque di una cultura sempre curiosa, aperta al mondo e alle contaminazioni”». Fino ad esternare, nel finale, una spontanea emozione: «E’ un momento emozionante – ha concluso il sindaco davanti ad una sala attenta – perché sentiamo la solidarietà e la partecipazione delle città e dei paesi della nostra provincia e della Romagna. Ma di una cosa sono sicuro. Rimini, con questo teatro pieno, con Viola, Giulia, Allegra, con quello che siamo stati e con quello che saremo, per me ha già vinto. Questo è il nostro momento di riconciliazione con la nostra storia e con la cultura, quella che ha contribuito ad abbattere steccati prima troppo alti. Perché quella di Rimini è una case history di cultura democratica».

Tutti i suoni di “Rémni” tra “ciàcri” e quell’invito condensato in “Vieni oltre”

di Marco Missiroli*
«Quando siete a Rimini, fate così: alle otto meno un quarto della sera, meglio di un giorno feriale, meglio nella bella stagione, raggiungete una via poco trafficata. Fermatevi in un punto qualsiasi e chiudete gli occhi. Avrete i quattro suoni di Rémni. Il primo suono è la tavola. Lo schioccare dei piatti, le ceramiche e i vetri, il vento delle tovaglie, giù piano, su forte, allegro, lieve lieve, l’appoggiare timido delle cose sulle cose. E il forchettare, e le caraffe, i tappi svitati delle bottiglie, la scintilla dei fornelli, la grancassa delle pentole, tutte quelle finestre spalancate per lo sfiato degli odori buoni. La tavola chiama al ciàcri, le chiacchiere, che è il secondo suono e non è vero che i romagnoli parlano forte. Sussurrano, poi un’alzatina di voce, il cantare morbido, l’incazzarsi a soffio, il discutere gentile. Le azdore baritone, gli azdori contralti, qualcuno che dice ho fèma, la fame del tramonto, qualcuno che già mangia il pane mezzo duro, inzuppato nel sangiovese, e i televisori che si accendono. L’orchestra comincia, le donne e gli uomini e le padelle, tutti insieme, manca poco ai telegiornali.

Invece arriva un silenzio. Il terzo suono. Si ferma la tavola, si fermano le voci. Dalle case viene un’eco gentile che pare l’Adriatico quando non ha le onde e dorme nel suo orizzonte. Smettono anche le cicale e i primi grilli, si spengono le automobili e i cigolii delle biciclette, le musiche del lungomare singhiozzano e questo è il respiro di Rimini che si prepara alla notte, stanca dei mestieri diurni e affamata di festa. E la sua malinconia batte, i ricordi si allargano nei cuori.

Ma adesso sono le otto della sera e il quarto suono arriva. Nasce lontano, e inizia con un battito di piedi sui pavimenti delle cucine, intorno alle tavole e sopra il silenzio. Cresce fino alle finestre spalancate delle case. Sono i passi delle madri o dei padri che si allungano dai parapetti, dai balconi, si sporgono. Stanno per cantare l’ultimo suono della città. È di due parole, pronunciate in coro, rivolte alla strada: vieni oltre.

Vieni oltre. Il canto delle mamme e dei babbi che chiamano i figli, i burdèl, sparsi nei cortili e nei parchi e nei campi di gioco e sotto gli ombrelloni o nei bar, al Parco Marecchia, al porto, nei giardini propri e nei giardini degli altri, scalmanati e gioiosi, i burdèl che ancora non si vedono anche se la tavola è già pronta. Venite oltre.

Vieni oltre, figlio mio. Vieni, giovinezza. E guarda al di là di queste mura, perché lo sai fare. Oltre: lo chiamano futuro, noi preferiamo dire avvenire. E i figli lo sanno, così basta poco perché sbuchino dai cortili e dai parchi e dai campi di gioco e da sotto gli ombrelloni o dai bar, dal Parco Marecchia, dal porto, dai giardini propri e dai giardini degli altri, arrivino svelti come la polvere mentre li senti dire, Mia mamma mi ha chiamato!, Mio babbo mi ha chiamato!, e giù a correre fino alle entrate delle case con addosso il coraggio di crescere. Poi lì, davanti alle porte, si fermano. Dura un attimo, per asciugarsi la fronte e darsi una sistemata, per guardarsi tra di loro e per guardare voi che li state guardando. È un invito a entrare. Venite oltre. Attraversate la via e avvicinatevi, le porte sono aperte.
*Autore riminese pluripremiato fin dal romanzo d’esordio nel 2005 Senza Coda al Campiello Opera Prima. Con Fedeltà nel 2019 è finalista del Premio Strega. Dal libro è stata realizzata l’omonima serie di Netflix. Vive a Milano ma dice sempre che prima o poi tornerà ad abitare nella sua Rimini.

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