Ravenna: nozze combinate, poi le violenze, salvata dalla titolare

Costretta a sposarsi nel Paese natale come deciso dai genitori, i successivi anni di matrimonio si sono trasformati in un incubo quotidiano, al servizio dei desideri e delle pretese del marito. Un uomo violento, che non si sarebbe fatto scrupoli a minacciarla di lasciarla morire di fame o picchiarla ogni qual volta si rifiutava di assecondare le sue pretese sessuali, oppure a chiuderla in casa per impedirle di spezzare la routine alla quale l’aveva costretta. Sofferenze impresse nel volto della donna, anche sotto forma di un segno che non è sfuggito agli occhi della responsabile dell’hotel nel quale lavorava. Quando ha deciso di chiederle con insistenza che cosa stesse succedendo la dipendente è crollata in un pianto. Così gli episodi avvenuti quantomeno a Ravenna, durante quel matrimonio forzato iniziato in Tunisia ormai 20 anni fa, è costato ora a un uomo alla soglia dei 50 anni l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento e di comunicazione con la moglie. Deve rispondere di violenza sessuale aggravata dal rapporto coniugale, di maltrattamenti in famiglia e di violenza privata.

Il provvedimento firmato il 5 giugnodal giudice per le indagini preliminari Andrea Galanti su richiesta del sostituto procuratore Antonio Vincenzo Bartolozzi, ha portato in questi giorni all’interrogatorio di garanzia dello straniero, che difeso dagli avvocati Giacomo Scudellari e Ludovica Pistoni si è avvalso della facoltà di non rispondere. Nell’ordinanza si legge la genesi della vicenda, segnalata da un’albergatrice di una struttura ricettiva nei lidi ravennati. Notando i segni evidenti di percosse, associati al comportamento anomalo della dipendente, nei primi di maggio scorso ha cercato di parlarle, fornendole un legale (l’avvocato Alessandra Giovannini) per andare a denunciare il marito. Il 16 maggio la donna si è convinta a rivolgersi ai carabinieri. Era pronta per uscire di casa quando il marito ha notato che non aveva indosso gli abiti solitamente usati in hotel. Così l’ha afferrata per un braccio spingendola dentro casa e chiudendo la porta a chiave, intimandole di non uscire. Sarebbe stata la figlia della donna a fornirle il cellulare per chiedere aiuto.

Gli episodi finiti nel capo d’accusa si sommano. Come quello accaduto nel febbraio di quest’anno, quando il marito l’ha picchiata in auto: con un braccio guidava, con l’altro la prendeva a schiaffi e pugni, tirandole pure i capelli. Alle accuse di violenza privata si aggiunge anche quella di violenza sessuale, andate avanti fino a febbraio di quest’anno. Sentita dagli inquirenti, la vittima avrebbe raccontato la genesi del matrimonio, parlando del divario culturale e religioso tra le due rispettive famiglie, la sua, più aperta e dai costumi più liberali, mentre quella del marito, definita «estremista nell’interpretare la religione», con l’obbligo di indossare il velo e il divieto di avere una vita oltre le mura di casa. Casa nella quale ora sarà proprio il compagno-padrone a non poter più entrare.

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