Ravenna, coltivava marijuana, assolto: "Era a scopo terapeutico"

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Per lui il sostituto procuratore Silvia Ziniti aveva chiesto la condanna a un anno e dieci mesi di reclusione e una multa da 1.200 euro, ma il gip Corrado Schiaretti lo ha ritenuto «non punibile per particolare tenuità del fatto»: Lorenzo Ravaglia, 40enne ravennate, era stato arrestato nel luglio del 2021 dagli agenti della Squadra mobile che, perquisendo la sua abitazione ad Alfonsine, avevano trovato una vera e propria coltivazione con 17 piante di marijuana e relativo impianto di irrigazione, oltre ad altre quantità di sostanza stupefacente. Ma in questa storia, all’apparenza simile a tante altre, c’è una particolarità che ha fatto la differenza anche a livello giuridico: Ravaglia soffre di una «tetraplegia spastica» che da anni lo costringe a vivere in una «condizione di intenso dolore fisico a livello muscolare» e quella marijuana, ha sostenuto fin dall’udienza di convalida dell’arresta, la coltivava «a scopo di farne uso terapeutico», anche perché «i medicinali prescritti dal sistema sanitario nazionale, tra cui la cannabis sativa, non erano più sufficienti per lenire le sue sofferenze».

Tutte argomentazioni ribadite nel corso del procedimento con rito abbreviato dai legali del 40enne, gli avvocati Claudio Miglio e Lorenzo Simonetti del Foro di Roma, che già altre volte si sono occupati di casi come quello che portato all’assoluzione di Ravaglia. A supporto della propria tesi difensiva, gli avvocati avevano anche presentato la relazione di un consulente medico, nella quale si evidenziava come «la terapia medica convenzionale non sia più idonea a garantire una qualità della vita dignitosa al paziente» rendendo così necessaria l’integrazione di «un protocollo di cannabis medica» che rappresentava per lui «l’unico sollievo terapeutico». 
Elementi, quelli riportati, che non hanno permesso di qualificare come insussistenti le contestazioni di detenzione e coltivazione della sostanza stupefacente. Tuttavia, osserva il gip motivando la sentenza assolutoria, se si analizza nello specifico la situazione di Ravaglia, «lo stesso racconto dell’imputato, che ha rappresentato il progressivo uso di cannabis indica nell’arco del tempo, in parallelo con l’aggravamento delle proprie condizioni di dolore, consente di desumere che, in passato, le forme di accesso allo stupefacente fossero state diverse, meno intense e meno frequenti». Un altro aspetto che emerge dalla sentenza è quello della «assenza di un effettivo commercio» della marijuana coltivata dal 40enne, il cui uso era «nella maggior parte riservato allo stesso Ravaglia», senza che vi fosse «un vero e proprio pericolo di diffusione della droga, se non nell’ambito di una ristretta cerchia di soggetti». Ecco quindi spiegata la «lieve entità» della condotta posta in essere dall’uomo, che ha portato alla sua assoluzione, mentre per la piantagione e per il resto della sostanza stupefacente che era stata sequestrata il giudice ha ordinato la confisca e la distruzione.

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