Ravenna, caso Lewitt: il giallo della lettera e il prof fantasma che imbarazza il Mar

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Di mail nelle redazioni dei giornali ne arrivano tante, soprattutto nei giorni in cui divampano polemiche come quella relativa all’esposizione dell’opera Wall Drawing #570 dell’artista americano Sol LeWitt, che la figlia dell’autore, Sofia, ha chiesto di distruggere come usava fare il padre, e che il Mar ha invece allestito dopo averla tenuta nei propri depositi per oltre trent’anni. Di mail ne arrivano tante, ma alcune attirano l’attenzione più di altre: è il caso di quella giunta alla redazione del Corriere Romagna la mattina del 4 maggio, firmata «Marco D’Alia, già docente di Legislazione e tutela dei beni culturali”. In allegato alla mail, un documento word dove l’autore giustificava l’operato del Museo, argomentando il sostegno all’istituzione in cinque pagine dense di rimandi al codice dei beni culturali, ma soprattutto di articoli usciti sulla stampa locale nei primi anni ‘90 con tanto di citazione esatta dei titoli. Esattamente come quelli citati il giorno prima, 3 maggio, dall’assessore Fabio Sbaraglia in risposta a una interrogazione de La Pigna e a cui avrebbe fatto riferimento due giorni dopo anche la curatrice del Mar, Giorgia Salerno, in un’intervista rilasciata a un sito ravennate. I pezzi riguardavano il caso “Stella Acidi”, opera di Gilberto Zorio al centro di una controversa e infuocata polemica di quegli anni per una “uscita non autorizzata” con tanto di danneggiamento dell’opera. Proprio “grazie” alle polemiche di allora, ci si “ricordò” che anche l’opera di Sol LeWitt era ancora custodita presso il museo. Il docente Marco D’Alia sembrava insomma ben informato su passato e presente del Mar, una buona ragione per cercare di contattarlo e capire qualcosa di più su una questione che ha ormai visto esprimersi anche alcuni nomi di livello nazionale della critica d’arte. È a questo punto, però, che la vicenda si è tinta di giallo, andando a rivelare un intreccio da sceneggiatura cinematografica, a metà tra la pellicola di spionaggio e la commedia all’italiana. L’indirizzo da cui era arrivata la mail non ha infatti risposto alle richieste del Corriere Romagna di poter contattare direttamente il “professore” al cellulare e nemmeno di allegare un curriculum. Un piccolissimo sforzo in più per uno che si era preso la briga di spulciare articoli del 1991. E così, dopo giorni di attesa, sono inevitabilmente scattati alcuni dubbi e alcune verifiche per fare luce sull’identità di D’Alia. Risultato: non solo nessuno sembra conoscerlo, ma non appare in nessun motore di ricerca, né gli vengono attribuite pubblicazioni. Un docente “fantasma”, insomma, che pare non avere mai scritto un libro né tenuto un corso. Un docente che potrebbe non esistere. È sembrato quindi opportuno andare ad analizzare più approfonditamente le pagine word allegate alla mail per vedere da dove arrivassero: è stato sufficiente cercare tra le informazioni relative al documento per scoprire che era stato creato il 2 maggio da un computer riconducibile non al fantomatico Marco D’Alia, bensì al nominativo di un certo Marco Salerno. Lo stesso cognome della curatrice del Mar. Questi i fatti nei quali ci siamo, nostro malgrado, imbattuti.

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