Ravenna, lo psichiatra agevolò la truffa al patrimonio di 500mila euro di un anziano

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Era accusato di avere attestato falsamente, in qualità di psichiatra, che l’anziano di cui doveva valutare le capacità mentali prima di essere ospitato in una casa famiglia fosse in grado di maneggiare soldi e riconoscerne il valore. Così facendo, lo avrebbe esposto alle operazioni economiche ritenute illecite sul suo patrimonio di oltre 500mila euro, che già sono costate il rinvio a giudizio con l’accusa di circonvenzione d’incapace alla titolare della struttura assistenziale e a un’avvocatessa ravennate. Nei giorni scorsi, davanti al giudice per l’udienza preliminare Andrea Galanti, è stato condannato il medico 60enne che visitò il paziente, un 86enne di Porto Fuori, prima che l’amministratrice di sostegno scoprisse le strane movimentazioni delle sue finanze, tra rette mensili lievitate, prelievi e assegni ingiustificati, come pure la vendita di un immobile dal quale mai si sarebbe separato. Accusato di falso, è stato condannato a un mese con pena sospesa.

Conflitto tra diagnosi

A mettere nei guai lo specialista era stata una precedente diagnosi sull’anziano, che ne avrebbe certificato i deficit mentali. L’imputato - assistito dall’avvocato Maria Grazia Russo - si era difeso sostenendo di non essere mai entrato nel merito della presunta incapacità di intendere e volere, poiché non era quello lo scopo della visita. Questione ostica, sulla quale si erano espressi i consulenti, quello nominati dal gup (il dottor Andrea Melella) e dalla difesa del 59enne (il professor Renato Ariatti), entrando nel merito dell’effettiva capacità di intendere e volere dell’anziano all’epoca dei fatti.

La circonvenzione

Dovranno invece difendersi andando a dibattimento l’avvocatessa 56enne di Ravenna e la titolare 55enne della casa di riposo in cui il paziente alloggiava. L’esposto presentato alla Procura dall’amministratrice di sostegno faceva notare che la retta era stata aumentata di 200 euro, toccando i 2mila euro al mese. Senza contare poi i prelievi dal conto in banca, per un totale di 14.520 euro ritirati, in compagnia della titolare della casa famiglia e dall’avvocatessa. E proprio quest’ultima lo avrebbe anche convinto a sottoscrivere un atto nel quale la nominava amministratrice di sostegno nel caso la lucidità lo avesse abbandonato, eleggendola pure erede universale nel testamento, insieme alla proprietaria della struttura assistenziale. Negli atti del fascicolo emergono poi i rapporti pregressi tra le due donne. Sette anni fa la titolare della residenza per anziani fu condannata per un altro caso di circonvenzione d’incapace; tra i difensori dei coimputati c’era proprio l’avvocatessa ora finita a sua volta a processo. Su di lei pesa un’altra accusa, legata a quattro assegni per un totale di 9mila euro. L’anziano li avrebbe intestati a un condominio presso il quale la 55enne avrebbe avuto un debito per pregresse spese condominiali.

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