Ravenna, 2000 vertenze di lavoro in un anno. La metà riguarda donne

I dati sulle dimissioni volontarie in provincia di Ravenna, cresciute del 25% in un solo anno, hanno posto il problema e, ora, i numeri delle vertenze gestite l’anno scorso dai sindacati lo confermano: il mondo del lavoro è cambiato come mai prima. E non è solo una questione di conseguenza alla crisi delle imprese, ma anche di un cambiamento culturale da parte dei lavoratori, che non sembrano più disposti ad accettare tutto senza far valere le proprie ragioni. Tra Cgil, Cisl e Uil nel 2021 sono state gestite oltre 2mila vertenze, volte a risolvere problemi di contenzioso che si sono verificate nel corso del rapporto tra datore e dipendente o all’atto della risoluzione del contratto. La pandemia, insomma, sembra aver rimesso al centro non solo il tema dei doveri dei lavoratori, ma anche quello dei loro diritti. Ecco allora che crescono le dimissioni volontarie per andare a occupare posti di maggior prestigio e meglio pagati e si mantengono su standard elevati i numeri della vertenzialità per veder riconosciuto quanto spetta.

I problemi

Quando si provano ad analizzare le ragioni alle base delle vertenze aperte dalle sigle sindacali per conto dei lavoratori, la sensazione è quella di immergersi in un dedalo fatto di piccoli e grandi soprusi quotidiani. Si parla infatti di straordinari lavorati e non pagati, part time fittizi, contratti a chiamata nei quali non vengono segnate le effettive ore lavorate, recupero crediti, retribuzioni arretrate, indennità non corrisposte, sotto-inquadramenti, risarcimento danni, oltre che impugnative per ingiusti licenziamenti. I settori maggiormente coinvolti sono il commercio (31% dei casi), seguito da turismo, agroalimentare, cooperative sociali e società multiservizi. Di incredibile c’è, poi, che nel 58% dei casi, le vertenze riguardano donne. «In generale nel 2021, rispetto ai periodi pre Covid, i numeri sono diminuiti – spiega Francesco Marinelli, segretario generale della Cisl Romagna, che l’anno scorso nella sola provincia di Ravenna ha fatto recuperare oltre 300mila euro a chi si è rivolto a loro – ma questo, chiaramente, a causa delle chiusure che sono state imposte dalla pandemia. Quello che ci preoccupa – aggiunge – è che la diminuzione è stata molto minore rispetto a quella che ci aspettavamo. Nella provincia di Ravenna, come su tutto il territorio romagnolo, abbiamo riscontrato una irregolarità diffusa, che purtroppo nemmeno il Covid ha limitato». Se a questo si aggiunge che, stando agli ultimi dati, i contratti di lavoro attivati lo scorso anno a Ravenna sono stati per l’85% precari, ecco allora che si spiega il perché, oggi, le imprese dichiarano di avere difficoltà a reperire personale nel 50% dei casi.

Vertenze collettive

A quelle individuali, si unisce poi tutto il tema delle vertenze collettive, che negli ultimi tre anni hanno visto impegnati i sindacati su diversi fronti, molti dei quali sono ancora aperti. Il caso più imponente, per la città, è senza dubbio quello di Cmc dove, spiega la segretaria generale della Cgil Marinella Melandri, «c’è stato un finanziamento della cassa integrazione fino alla fine di marzo». La speranza, in questo caso, è che presto possa arrivare un’iniezione di fondi freschi (da alcuni mesi si parla di un possibile accordo con l’altra big delle costruzioni Webuild Spa). Complessa è stata anche la trattativa con il fondo inglese che oggi controlla la Essentra Packaging di Cervia, che aveva annunciato il 25% degli esuberi, rientrati grazie ad accordi plurimi di cessazioni volontarie con incentivi dell’azienda. Ora la preoccupazione si chiama, invece, Saint-Gobain a Casola Valsenio, dove si temeper il futuro dei cento dipendenti e di tutto l’indotto per via delle concessioni di estrazioni del gesso che, forse, non verranno rinnovate. C’è un allarme che arriva dai sindacalisti ravennati e si chiama espansione dei cosiddetti “contratti gialli”, ossia tutto quel coacervo di contratti non sottoscritti dai sindacati maggiormente rappresentativi, ma bensì da sindacati spesso di comodo, che accettano di firmare accordi che prevedono minori compensi, minori tutele e spesso anche una conseguente minore sicurezza sul luogo di lavoro. Secondo il segretario generale della Uil Ravenna, Carlo Sama, «non si tratta più di episodi isolati, ma di un fenomeno che negli ultimi due anni è cresciuto in maniera vertiginosa». Stando a Marinelli della Cisl Romagna, si potrebbe dire che sia stato addirittura il Covid «a portare alla crescita di questi strumenti», che sono stati scoperti anche dentro un negozio nella galleria dell’Esp. Il problema è grave, perché secondo le stime fatte da Cgil, Cisl e Uil questi contratti applicati prevedono stipendi inferiori anche del 25/30% rispetto agli altri. A.CIC.

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