Quell’indimenticabile primo giorno in cui scoprii il fascino del giornalismo

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Ricordo ancora con un misto di affetto ed emozione la prima volta che entrai nella redazione del Corriere, in piazza Caduti a Ravenna. Avevo 20 anni nel febbraio del 1998, ero studente universitario e sommessamente sognavo di fare il giornalista da grande. Varcai quella porta dopo aver ottenuto un appuntamento con il mitico responsabile dello sport locale, Ezio Bazzocchi, al quale avrei umilmente sottoposto una mia disponibilità a seguire il calcio minore, forte – si fa per dire – di un curriculum più corto di un numero di telefono.
La cosa bella di quella redazione era che somigliava all’idea cinematografica che tutti hanno – o almeno avevano all’epoca – di una redazione di un giornale. Una coltre di fumo di sigarette perenne, il rumore dei tasti come sottofondo, telefoni che squillavano, battute ciniche e dissacranti su politici e volti noti locali, il gracchiare della radio sintonizzata sulle frequenze di ambulanze e polizia.
Tutto incredibilmente affascinante per un ragazzo che, con aria rapita, guardava con ammirazione qualsiasi persona che gli passasse davanti. Compreso quel distinto signore in giacca e cravatta che era stato appena mandato a quel paese da una giovane poligrafica; prima dimostrazione pratica di quell’irriverenza un po’ anarchica e molto romagnola che animava – e per certi versi anima ancora – il Corriere. Fu a lei che mi presentai, dicendole del mio appuntamento. E fu lei, Elisa Palma, a indicarmi Ezio, che non era altro che il distinto signore che aveva appena mandato a quel paese pochi secondi prima.
Dopo un brevissimo colloquio Ezio, a sorpresa, mi chiese a bruciapelo se fossi esperto di vela, perché serviva con urgenza qualcuno per seguire quello sport in provincia. Risposi di sì. Mentendo ovviamente. Il tutto con un atteggiamento che ricordava più o meno Fantozzi e Filini quando si improvvisavano amanti di ciclismo per ben figurare con il mega direttore galattico. Stavo alla vela più o meno come Mike Tyson al balletto classico, ma la voglia di cominciare era talmente tanta che avrei passato notti intere a cazzare rande immaginarie con vento di bolina come fosse Antani sul Moro di Venezia pur di scrivere su un giornale. Per fortuna Ezio – che ci lasciò prematuramente pochi anni dopo, riuscendo a crescere con rigore diversi ragazzi come me – non mi commissionò mai un pezzo di vela. Ma solo calcio.
Sono passati 25 anni da quel giorno. In mezzo troppe cose per farle stare dentro un articolo: notizie belle e notizie brutte, casi di cronaca nazionali, pandemie, alluvioni, battaglie vinte e battaglie perse, querele, minacce, insulti, qualche amicizia finita. Buchi dati, buchi presi, qualche scoop, tante soddisfazioni. Ma anche banali risate, scherzi, lutti e nascite.
Trenta anni di Corriere. Ciò che di buono abbiamo fatto non tocca a noi dirlo. Mentre sugli errori, almeno chi scrive, pensa di averli commessi davvero tutti. Tutti tranne tre: sprecare la libertà che ci siamo conquistati, stare dalla parte dei più forti a scapito dei più deboli e, ovviamente, scrivere di vela.

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