Pupi Avati: il mio è un film sul male

RAVENNA. Sala gremita sabato scorso al CinemaCity di Ravenna per l’incontro con il regista Pupi Avati, in occasione della presentazione del suo ultimo film, “Il signor diavolo”.

Il film segna il ritorno, nella filmografia del regista bolognese, a quello che è stato definito il “gotico padano”, o “gotico rurale”, prendendo a prestito un’espressione dell’amico di una vita, lo scrittore Eraldo Baldini. Un genere ambientato nelle campagne emiliane, dove i miti classici si intrecciano con le superstizioni contadine e con i miti religiosi. Il risultato è un ambiente chiuso, spaventoso e opprimente, dove non c’è spazio per la modernità, per la ragione o i sentimenti più nobili.

“Il signor diavolo” racconta la storia di un’inchiesta giudiziaria, che presto si intreccia con l’anima più oscura e contorta della civiltà contadina. Siamo nel Veneto, nel 1952. De Gasperi e la Democrazia Cristiana governano il paese e il “pericolo rosso” crea fantasmi che vanno combattuti. In provincia, accade un avvenimento potenzialmente pericoloso per le alte sfere del partito: un ragazzino uccide un suo compagno, convinto che incarni il demonio. E in questa convinzione svolgono un ruolo il parroco, il sagrestano e una cugina suora, al punto che la madre del ragazzo ucciso accusa l’intero sistema religioso di fomentare la superstizione e il pregiudizio.

L’inchiesta avrà risvolti oscuri, e il giovane funzionario incaricato di svolgerla si troverà ad intraprendere una sorta di discesa agli inferi, sempre più lontano dalla città e sempre più avviluppato nelle trame della credenza popolare.

«E’ un film al quale tengo enormemente - ha esordito il regista Pupi Avanti, nel corso dell’incontro con il pubblico - Non è stato facile farlo. Il cinema italiano sta vivendo un periodo di grande crisi e difficoltà e produce quasi esclusivamente commedie sull’oggi, con risultati molto modesti. Quando ho proposto questo film ho avuto molti rifiuti, finché Rai Cinema ha accettato di produrlo. Sto girando i cinema per presentare il film e vedo solo sale piene: questo significa che una potenzialità c’è, il pubblico per questo genere c’è».

“Il signor diavolo”, infatti, uscito nelle sale il 22 agosto, è stato salutato con un ottimo successo di pubblico.

Pupi Avati non nasconde una certa nostalgia per il mondo che racconta, per quell’ambiente buio e spaventoso che era una delle anime della cultura contadina in cui è cresciuto. «Questo film - racconta - è un film sul buio, sulla stanza buia, su quella paura atavica che tutti ci portiamo dentro. Ma è anche un film sul male, sul male che è ovunque, in tutti noi e anche in noi stessi».

Il protagonista del film è un bambino e si fa sempre fatica a pensare che un bambino possa essere depositario del male. «Il bambino che ho scelto per il film (il piccolo Filippo Franchini) ha uno sguardo estremamente inquietante: durante le riprese, quando gli parlavo, sembrava capire molto di più di quanto gli dicessi. E’ uno sguardo da adulto e questo mi ha indotto anche a cambiare il finale del film, rispetto al libro». «Nelle cultura contadina - ha precisato Baldini, presente alla serata - i morti bambini erano temuti, perché rappresentavano un legame ancora troppo stretto con le anime del passato: un bambino era appena arrivato dal regno dei morti e la sua morte prematura era pericolosa. Per questo i corpi venivano legati con corde rosse, colore di protezione».

“Il signor diavolo” è stato presentato in anteprima a Ravenna nell’ambito delle prime visioni che anticipano la XVII edizione del Ravenna Nightmare Film Fest.

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