Forlì, processo per caporalato, il teste: "Tute sporche e no formazione"

Nessuna protezione per gli occhi, tute e stivali riusati, nessuna formazione, le aie pulite con un’idropulitrice e un “tira-acqua” per spostare i liquami. Orari di lavoro infiniti. Che stessero lavorando in un pollaio dove c’era stato un focolaio di aviaria lo sapevano solo per le “voci”, ma senza nessuna comunicazione da parte dei datori di lavoro. Questo è il quadro descritto da uno dei lavoratori impiegati nel 2017 per la bonifica di un grande capannone a Codigoro di proprietà dell’Eurovo, azienda della Bassa Romagna, ieri testimone nel più grosso processo per caporalato visto finora nel tribunale di Ferrara. Alla sbarra i legali rappresentanti di quattro cooperative: la forlivese Cooperativa Agricola del Bidente (Elisabetta Zani, presidente, Gimmi Ravaglia, vice e Ido Bezzi, dipendente), poi Abderrahim El Absy della cooperativa Work Alliance di Cesena, Ahmed El Alami della Agritalia di Verona e Lahcen Fanane della Veneto Service di San Bonifacio (Verona). Per l’accusa, sostenuta in giudizio dal pm Andrea Maggioni, la Bidente aveva dato in subappalto la bonifica alle altre cooperativa senza alcuna autorizzazione da parte dell’Ausl, che le aveva affidato lavori per cinque milioni di euro. Lavori che sarebbero stati eseguiti sfruttando la manodopera di lavoratori stranieri. Ieri uno di essi in particolare, un marocchino di 34 anni, ha descritto la sua esperienza. Assunto da Agritalia per i lavori di pulizia con paga di 6 euro all’ora, le sue mansioni: «Per due giorni le pulizie e poi per altri venti giorni ho accompagnato le persone ne al capannone. In 24 ore anche un centinaio di lavoratori su tre turni». Lui di turni non ne faceva dovendo andare a recuperare i lavoratori tra le province di Verona e Padova: «Lavoravo 15 ore al giorno, dormivo in macchina e mangiavo un panino, tornavo a casa a riposare solo la domenica», ha raccontato ai giudici. E per i due giorni da operaio «nessun corso di formazione, nessuno ci ha detto niente dei rischi». Dopo di lui hanno parlato altri lavoratori, prima invece un’ispettrice del lavoro che ha riferito degli indici di sfruttamento in quelle coop. Alla Veneto Service, ad esempio, «per 41 lavoratori non veniva rispettato il riposto settimanale, per 4 quello giornaliero. L’Agritalia invece impiegava 120 lavoratori stranieri (e uno irregolare) e anche lì sono stati riscontrati l’abuso di lavoro straordinario e il mancato rispetto dei riposi: «Abbiamo applicato le maxi sanzioni per il lavoro nero». La cosa “curiosa” è che il contratto applicato per ricalcolare contributi e versamenti dovuti ai lavoratori sulla base della dichiarazioni presentate dalle aziende all’Inail non è stato quello dell’agricoltura, come ci si aspetterebbe, ma quello dei facchinaggio.