Piraccini: "Scenario fortemente mutato e bisogna adattarsi"

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Rivoluzione e opportunità sono le due parole che, nei discorsi del presidente di Macfrut Renzo Piraccini, sembrano meglio identificare lo stato attuale del settore ortofrutticolo romagnolo e, in generale, del nostro Paese. E questo, nonostante la crisi attuale che sta dilagando tra i produttori.

Inflazione, materie prime introvabili, domanda stressata da una ripartenza troppo repentina e ora una forte tensione internazionale, scoppiata nella guerra, che ha inasprito i già elevati costi energetici e di beni come cereali e olio di semi. Come sta influendo, tutto questo, nel segmento ortofrutta?

«Quello che sta accadendo è che, anche chi non conosce il settore, comincia a capire che l’ortofrutta è un settore fortemente globalizzato, con tutte le opportunità e i problemi di un mercato globale. Prendiamo l’esempio dei trasporti, che prima avevano una caratteristica comune: erano veloci e costavano poco. Trasportare un chilo di kiwi in Germania o ad Hong Kong con un contenitore refrigerato aveva più o meno gli stessi costi. Oggi i medesimi trasporti sono lenti, non si trovano e il costo di un contenitore è passato da 4mila dollari a 10/12mila».

Con quali conseguenze, all’atto pratico?

«Sostanzialmente due. La prima la stiamo toccando con mano ed è la difficoltà negli approvvigionamenti delle materie prime. La seconda conseguenza è anche un’opportunità, nel senso che i mercati più interessanti diventeranno quelli più vicini. Oggi essere ben posizionati geograficamente può fare la differenza».

Mi faccia un esempio di opportunità…

«Prendiamo i pomodori italiani. In Europa hanno due competitor: Olanda e Marocco. Il primo utilizza i pannelli Led, ma oggi con l’aumento dei costi energetici i prezzi stanno diventando proibitivi. Il Marocco ha un basso costo della manodopera e ha sole a profusione, ma è lontano. Ecco le opportunità, che nascono quando i pesi si modificano. La mia speranza è che, finalmente, si cominci a capire quanto siano strategiche le filiere dell’agrifood».

Nel tempo l’ortofrutta ha subito profonde trasformazioni e ha dovuto combattere con una certa disaffezione, che in Romagna si è tradotta con una riduzione della superficie frutticola del 40% in dieci anni. Lei crede in un ritorno dei giovani all’agricoltura?

«Quello che dobbiamo fare è capire le tendenze e il compito di Macfrut è proprio questo. Non è solo un momento per incontrare persone o produttori, ma anche e soprattutto per vedere dove sta andando il futuro. Parlando di giovani il discorso è semplice: i giovani si interessano se vedono una prospettiva. Fino ad oggi non siamo stati attrattivi, ma il futuro lo vedo roseo».

In più occasioni lei ha parlato dell’ortofrutta come di un settore in rivoluzione. Cosa intende?

«Intendo una rivoluzione di tipo tecnologico, e anche molto spinta. Una volta per l’acqua degli impianti di irrigazione c’era un tecnico, oggi esiste un software; lo stato vegetativo delle piante lo monitorano i droni nelle grandi aziende. Fare un impianto di ciliegie in questo modo può costare anche 50mila euro all’ettaro, perché vi è un approccio più professionale. Di conseguenza ci vuole formazione e tutto questo, per tornare alla domanda precedente, apre porte interessanti a giovani con un substrato culturale elevato».

La politica agricola, insomma, va completamente ripensata?

«Se guardiamo nel suo insieme ciò che abbiamo detto sino ad ora, quindi contesto geopolitico, crisi economica, nuove opportunità, rivoluzione digitale e aggiungerei anche il problema della sostenibilità ambientale – ma anche economica –, dobbiamo prendere atto che lo scenario è fortemente mutato e bisogna adattarsi».

Lei parla di cambiamento in un Paese che, culturalmente, si è però sempre dimostrato piuttosto rigido, invece che flessibile, ai mutamenti…

«Attenzione ad una cosa: il cambiamento, o per meglio dire, in questo caso, il miglioramento può anche essere di tipo qualitativo, non solo quantitativo. Chi lo ha detto che dovremo diventare per forza più ricchi?».

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