Paravidino e Papaleo al bonci di Cesena con "Peaxchum"

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La prosa del teatro Bonci torna a ospitare Fausto Paravidino (1976) attore, regista, da oltre vent’anni drammaturgo contemporaneo di punta (“Il senso della vita di Emma”, “I vicini”, “Natura morta in un fosso”); con lui sul palco altri 5 interpreti coesi che da anni lo affiancano, a cui si aggiunge il noto attore Rocco Papaleo. È lui che veste i panni del protagonista in Peachum. Un’opera da tre soldi in scena da stasera alle 21 a domenica 13 febbraio. I sette interpreti fanno rivivere l’umanità descritta ne “L’opera da tre soldi” di Brecht (1928), che a sua volta attingeva da “The beggar’s opera” di John Gay (1728), riscritta nel presente da Paravidino. Il quale, nella critica alla società del denaro, aggiorna il significato brechtiano di capitalismo; Peachum, già “re dei mendicanti”, trafficone di bassifondi intento ad arricchirsi a qualunque costo, si evolve in una generazione di figli arrivati, preoccupati solo di mantenere lo status acquisito.

Lei Paravidino è solito scrivere testi contemporanei; quanto e cosa le interessa di un classico come Brecht?

«Mi interessa molto del suo teatro; mi spinge a interrogarmi sul rapporto che cercava di stabilire con il pubblico, e su quale può essere l’equivalente di quel teatro oggi. Qui sta un po’ il senso della mia riscrittura che, pure rifacendosi alla storia di Brecht e John Gay, è di fatto una commedia nuova. Mi interessava non il contenuto dell’ Opera da tre soldi, ma il tipo di operazione che Brecht voleva fare, usare il suo occhio per guardare il teatro di adesso».

Come dunque si è comportato nella nuova scrittura?

«Brecht si serve di una fiaba che trasporta in una società contemporanea, la sua. Mischia, fa collidere i rapporti di forza politici ed economici del suo mondo con i temi della fiaba. Svolge pure un lavoro politico e intellettuale, ma lo rende popolare, pure senza usare semplificazione. Traendo da questi punti di forza brechtiani, abbiamo inventato una storia».

Come ha riscritto i personaggi?

«Non mi interessava che fossero attuali, ma che avessero a che fare con un nostro nuovo immaginario, anche divertenti, fumettistici. In Brecht i mendicanti erano gli straccioni, per noi diventano i migranti; a lui faceva ridere e spaventare il mondo di “Jack lo squartatore”, per noi quel mondo è quello dei neo nazisti, e poi il padre che non vuole che la figlia sposi l’amato. Tutto è sospeso tra fumetto, invenzione e realtà. Usando la favola per capire la realtà, e la realtà per capire la favola».

Il capitalismo di Brecht come cambia nella sua storia?

«La vicenda è ambientata nel nostro mondo dove la guerra dei ricchi contro i poveri non è mai stata così feroce. Il capitalismo non ha alcuna alternativa solida, a tutti serve del denaro non per avidità, ma per vivere in una società di mercato che non ci dà una alternativa culturale».

Veniamo al suo Peachum.

«Il Peachum di Brecht era un pioniere del mercato, rappresentava i capitalisti in ascesa che non esitavano a delinquere. Il nostro Peachum è suo figlio, è uno che ha ereditato un capitalismo vincitore. Deve semplicemente preservarlo, rappresenta quindi tutti quanti noi, ahimè. È uno che parla la lingua del denaro, che guarda il mondo attraverso il filtro della convenienza. Dato che personalmente odio questo modo di fare, e credo ci voglia un’alternativa sociale ad esso, almeno come drammaturgo cerco di mettere in crisi il sistema, faccio i dispetti a Peachum, per fargli scoprire che il mondo non è in vendita».

Perché ha voluto Rocco Papaleo per incarnarlo?

«Rocco Papaleo è attore amato, crea un rapporto di simpatia con il pubblico. L’ho scelto perché interpreta l’idea del denaro che ci piace, ma che non dovrebbe. Volevo fare una commedia dei vizi, ma senza dichiarare subito che il nostro protagonista dev’essere in realtà il nostro antagonista. Quel simpaticone ci aiuta a mettere in scena una sorta di tradimento del sistema, dello zio a cui volevi bene. Con Rocco ho instaurato un bellissimo rapporto umano e di lavoro».

L’Opera brechtiana vive anche di canto, musica e tanti attori.

«Anche nel nostro lavoro c’è musica dal vivo e recitativi più che canzoni, per gusto mio. Sono scritti da me, mentre le musiche non sono quelle di Kurt Weill, ma del maestro Enrico Melozzi, elaborate con un lavoro d’insieme con gli attori. Siamo 7 in scena ma ci moltiplichiamo attraverso il gioco infantile del travestimento, con l’ausilio delle maschere di Stefano Ciammitti»

Info: 0547 355959

Un fuoriclassedel nuovoteatro italiano

Fausto Paravidino (Genova, 15 giugno 1976) è un drammaturgo, attore e regista italiano. Nel 1995 inizia a frequentare la scuola di recitazione del Teatro Stabile, che abbandona l’anno successivo per spostarsi a Roma dove scrive “Trinciapollo”, la sua prima commedia, di cui nel 1999 firmerà anche la regia teatrale. Nel 1998, con la compagnia Gloriababbi Teatro, mette in scena “Gabriele”, scritto insieme a Giampiero Rappa, che vince la 3ª Rassegna della Drammaturgia Emergente. Nel 1998 scrive anche “Due fratelli”, tragedia da camera in 53 giorni, che vince il premio Pier Vittorio Tondelli nel 1999 a Riccione, e il premio Ubu come migliore novità italiana nel 2001. Ha vinto anche il premio Gassmann e ha lavorato a lungo al cinema e in televisione ed è oggi considerato unanimemente dalla critica come uno dei migliori drammaturghi italiani.

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