Paola Salvatori e i fascismi al "900 Fest" di Forlì

Ultimo giorno oggi per il “900 fest”: in programma (ore 9.30-12) nel Salone comunale la tavola rotonda con Taras Bilous, Alessandro Cavalli, Sonia Lucarelli, Wlodek Goldkorn e Paolo Calzini su “L’Ucraina e l’Europa”. Alle 15, poi, Nicolas Werth, Vittorio Emanuele Parsi, Michael Walzer, David Ost, Nadia Urbinati e Guido Montani, coordinati da Wlodek Goldkorn, riprendono il titolo del festival, “Fascismi e internazionalismo democratico”.

Una sintesi di queste giornate viene da Paola S. Salvatori, autrice, fra gli altri, del saggio “Il fascismo e la storia” (2021). «Sono perplessa sull’uso della parola “fascismi” al plurale – puntualizza infatti la studiosa –. Il fascismo storico ha, convenzionalmente, una data di inizio e una di fine, ed esse trovano motivazioni peculiari nella storia politica italiana, nel suo rapporto col passato, nella sua cultura, nelle sue relazioni e nelle sue dinamiche partitiche. Si può e si deve ragionare su origini e cause del fenomeno fascista, e su conseguenze e lasciti dopo la sua caduta, così come sul fatto che il sistema istituzionale italiano non seppe evitarne l’ascesa, consentendo anzi al regime di esportare il proprio modello all’estero. Ma le esperienze totalitarie instaurate in Europa nel Novecento sono conseguenze di storie nazionali peculiari, e non è quindi corretto appiattire questi fenomeni in una macro-categoria di “fascismo”. Oggi, poi, credo si debba parlare piuttosto di “populismi”…».

Lei ha studiato il valore dei simboli per il fascismo.

«Importanti ricerche recenti hanno riconosciuto la centralità dei miti, dei simboli e dei rituali nell’ideologia e nella pratica politica, confermandone anzi la natura di “religione laica”. In quest’ottica, gli studi si sono focalizzati anche sull’appropriazione dello spazio urbano e del tempo storico da parte del regime: centrale fu, in particolare, il mito di Roma antica, primo elemento di una immaginaria genealogia che avrebbe condotto inevitabilmente all’avvento del fascismo. Da subito, quindi, i segni della presenza di tale mito furono evidenti e il fascio littorio divenne onnipresente nell’iconografia pubblica anche se il suo significato fu profondamente distorto. Ancora oggi è possibile osservarne la presenza nelle stazioni, sui tombini, o su alcuni palazzi pubblici dove è sopravvissuto alla furia iconoclasta che attraversò gran parte dell’Italia dopo il 25 luglio del 1943. Storicizzare e comprendere le architetture delle nostre città potrebbe farci fare però un passo avanti nella visione di un’epoca e di una cultura. Di fronte alle cicliche proposte di abbattere monumenti e strutture di epoca fascista, semmai è auspicabile, in alcuni casi, un processo di spiegazione e risemantizzazione, come pochi anni fa si è fatto a Bolzano con il Monumento alla Vittoria e con il Palazzo degli Uffici Finanziari, ex Casa del Fascio, contestualizzati e spiegati senza stravolgerne o cancellarne l’impianto originario».

Centenario della marcia su Roma: ieri, a Predappio, una manifestazione che ricordava la Liberazione, ora si aspettano i “nostalgici”.

«In realtà, in quel giorno re Vittorio Emanuele III decise di revocare lo stato d’assedio predisposto il giorno prima dal dimissionario governo Facta. I fascisti entrarono nella capitale tra il 30 e il 31 ottobre, sfilando davanti al re che, di fatto, legittimò così la presa del potere dopo aver anche nominato Mussolini nuovo presidente del Consiglio. Il 28 ottobre assurse però immediatamente a data di ideale fondazione: e fu così che l’anno 0 del nuovo calendario fascista fu fissato proprio al 28 ottobre 1922…».

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