Non scatta il riciclaggio se la somma non è riferita a un preciso anno
Non può configurarsi il reato di riciclaggio laddove non vi siano le condizioni per accertare l’esistenza del cosiddetto reato presupposto; in particolare, laddove non sia possibile riferire le somme di denaro regolarizzate mediante il cosiddetto “scudo fiscale” ad un determinato anno d’imposta, deve escludersi l’esistenza del reato di dichiarazione infedele, dovendosi conseguentemente escludersi qualsivoglia addebito in termini di riciclaggio. È questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione, Sesta Sezione Penale, con la sentenza n. 19849/21, depositata lo scorso 19 maggio 2021, che ha per l’appunto accolto il ricorso presentato da un soggetto condannato per riciclaggio. La Corte di appello, decidendo in sede di rinvio, aveva dichiarato estinto il reato di infedele dichiarazione (stante l’adesione al cosiddetto “scudo fiscale), confermando, tuttavia, nel resto la sentenza di primo grado, che aveva disposto la condanna per il reato di riciclaggio (art. 648 bis Cp), in quanto l’imputato aveva trasferito il denaro asseritamente frutto di reati fiscali su un conto estero intestato a lui e alla moglie. La tesi del giudice di merito era che l’operazione avesse avuto il precipuo scopo di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, con l’aggravante di aver commesso il reato nell’esercizio di attività finanziarie. Il ricorrente, adendo la Suprema Corte, lamentava che la Corte territoriale aveva confermato la condanna ritenendo integrati gli estremi della dichiarazione infedele, quale reato presupposto del riciclaggio, nonostante non vi fossero prove che le somme presenti sul conto corrente estero cointestato rappresentassero reddito sottratto a tassazione proprio nell’anno d’imposta oggetto di verifica, e non una somma accumulata negli anni precedenti, come sostenuto dalla coppia. Nel decidere in sede di rinvio, la Cassazione metteva in evidenza che non c’era la prova della dichiarazione infedele, ossia, del reato presupposto del riciclaggio, non essendovi alcun elemento in grado di dimostrare che le somme scudate rappresentavano redditi occultati al fisco in quel preciso anno di imposta, e non già nel corso degli anni precedenti, durante i quali erano stati accumulati per essere poi unitariamente “scudati”. Secondo i giudici di vertice il fatto che su un conto corrente estero risultasse detenuta una certa somma ad una determinata data non poteva significare che si trattasse di reddito imponibile sottratto a tassazione proprio nell’anno d’imposta in cui le somme risultavano ivi detenute. In particolare, la Corte Suprema ha definito “giuridicamente sbagliata” l’affermazione secondo cui l’importo detenuto dal ricorrente fosse “integralmente tassabile ai fini dell’imposta sui redditi per quell’anno e che perciò, essendo state superate le soglie di punibilità previste dal citato articolo 4, fossero presenti gli elementi costitutivi del delitto presupposto del riciclaggio”. Che le somme detenute in Svizzera e poi trasferite a San Marino (era questo il trasferimento di denaro contestato all’imputato) fossero il frutto di evasione fiscale, “lo dimostra il fatto – rilevano i giudici di vertice - che l’imputato riuscì a far rientrare in Italia quel denaro beneficiando dello scudo fiscale (art. 8 della l. n. 284/02, n. 284), ma nell’impossibilita di riferire l’importo ad uno o più specifici anni di imposta, dunque il superamento delle soglie di punibilità, manca la prova precisa dell’esistenza del delitto presupposto necessario per la configurabilità del riciclaggio addebitato al ricorrente”. La Corte Suprema ha quindi annullato la sentenza, cassando senza rinvio, perché il fatto non sussiste. La sentenza in esame è certamente apprezzabile per aver valutato e deciso con estrema accortezza una vicenda riguardante il reato di riciclaggio, la cui configurazione, tuttavia, presuppone un attento e scrupoloso esame in ordine all’esistenza del reato presupposto, che evidentemente i giudici del merito non avevano svolto.