Il "Tempio" accoglie Gambuti

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RIMINI. Negli Stati Uniti l’ingresso nella “Hall of Fame” è un evento che interessa tutto il paese, si svolgono cerimonie alla presenza di amici, parenti, tifosi stessi, una grande festa che ha il compito di esaltare ancora una volta le prestazioni e la carriera di un singolo atleta. In Italia non è esattamente così, l’entrata nel “Tempio della gloria” passa quasi sotto traccia.

Ma anche nel nostro paese, chi riceve questo attestato ne va fiero e quando al “Galà dei Diamanti” di Parma è stato fatto il nome di Elio Gambuti, la parola “finalmente” è stata pronunciata da più parti. Diciamolo pure: stiamo parlando di uno dei più forti catcher italiani, un giocatore che si è sempre diviso tra lavoro e diamante ma è stato ugualmente capace di vincere il suo quinto scudetto (tutti a Rimini) a 45 anni.

«Beh, allora qualcosa di buono ho fatto nel baseball - scherza Gambuti che in questo periodo cerca di districarsi tra i suoi acciacchi fisici -. Prima o poi la chiamata doveva arrivare, però non sono mai stato un personaggio, non ero vicino a certi ambienti, insomma ho dovuto aspettare, però ci sono i numeri a confermare quello che ho fatto in carriera».

Eccoli allora: 1026 partite giocate, 1256 valide, 117 homer, 719 punti battuti a casa e 247 colti rubando dietro al piatto. A proposito, quale è stato il lanciatore più forte con cui ha giocato? «Pete Falcone, il pitcher americano di Rimini nel ‘90 (finale persa 4-3 contro Nettuno, ndr). Velocità, gran curva, completo insomma, un signore in campo e fuori: nonostante dodici anni di Major alle spalle, non mi ha mai rifiutato un lancio. A inizio stagione mi ha fatto capire che si sarebbe fidato del proprio catcher».

Ha mai pensato come sarebbe stata la sua carriera se avesse fatto il professionista? «L’ho fatto quando ero in nazionale, in quei periodi si pensava solo a giocare a baseball. Ma la mia è stata una scelta ben precisa: quando ho lasciato il calcio per passare al baseball ho detto subito a Zangheri che volevo cercare un lavoro. E ripensando adesso, è doppia la soddisfazione per aver tagliato certi traguardi».

Cosa le rimane del baseball? «Sicuramente l’ultima stagione in campo, ho vinto uno scudetto a 45 anni, ma soprattutto ho fatto ancora il catcher, il mio ruolo, a 45 anni e ho visto che facevo ancora la mia figura».

Perchè non è più assieme ai Pirati? «Ho pensato che sarei rimasto a vita nel Rimini, con un ruolo nello staff tecnico a fine carriera. Invece a un certo punto mi sono accorto che non c’erano più le condizioni».

Passione, una parola ben presente nel vocabolario di Gambuti. «Il baseball è uno dei primi pensieri nella mia testa, potrei collaborare con qualche società, ma se prendo un impegno, devo portarlo avanti con costanza e programmazione».

 

 

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