Il diploma del Marco Simoncelli consegnato al padre. «Era birichino ma faceva il suo dovere»

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RIMINI. «Io e la mamma avevamo un patto con Marco: poteva continuare a correre con le moto finché a scuola prendeva bei voti». La dedica a Marco Simoncelli dell’aula magna dell’istituto Alberti, quello in cui il pilota dalla folta “criniera” castana aveva conseguito la maturità, fa tornare in mente al padre Paolo i momenti dell’infanzia e dell’adolescenza del Sic, che oggi avrebbe 31 anni. Quando l’“eroe” di Coriano era ancora un bambino e si affacciava con passione alla carriera motociclistica, ben consapevole, però, di non poter trascurare quella tra i banchi di scuola.

Paolo Simoncelli, come ricorda il Marco bambino con indosso il grembiulino azzurro? A Marco piaceva andare a scuola?

«Marco era un bambino come gli altri. Spesso ci si riferisce a lui come a un “mito”, una leggenda, ma lui era davvero una persona modesta, tranquilla. Da ragazzo come da bambino. La scuola? Marco era bravo, da subito si era dimostrato molto sveglio. Apprendeva velocemente, e generalmente portava a casa buoni voti. Però, come tutti i bambini, doveva essere richiamato al dovere dalla mamma. Capitava spesso di sentirla insistere con lui perché iniziasse a fare i compiti. Ogni tanto aveva qualche “screzio” con le insegnanti, era un pochino “birichino”, in effetti, ma alla fine faceva sempre il suo dovere, con grande impegno».

C’era una materia che proprio non sopportava?

«Sì, disegno tecnico. L’unica disciplina in cui al liceo scientifico, il Volta, a Riccione, aveva riportato il debito formativo. Non riusciva a prendere la sufficienza, perché Marco è sempre stato un po’ maldestro, non era molto preciso. E con disegno tecnico non andava d’accordo. Pensare che poi, qualche anno dopo, quella stessa professoressa di disegno tecnico se l’è ritrovata in commissione all’esame di maturità, che invece ha sostenuto all’istituto Leon Battista Alberti».

A proposito, come è avvenuto il passaggio dal liceo scientifico Volta all’istituto Alberti? E’ facile immaginare che possano c’entrare qualcosa gli allenamenti e le gare con le moto.

«Sì, le due cose sono collegate, ma a portare Marco a sostenere l’esame di maturità all’Alberti non è stata, come si potrebbe pensare, la poca considerazione della scuola, essendo già un pilota di fama mondiale. Lui era davvero interessato a conseguire il diploma, perché non escludeva a prescindere la possibilità, in futuro, di iscriversi all’università. Tuttavia, una serie di circostanze l’hanno “spinto” a indirizzarsi verso l’Alberti».

Cos’è successo?

«Nell’ultimo anno aveva iniziato a correre in 250, e tra allenamenti, prove in pista e Gran premio aveva veramente poco tempo da dedicare allo studio. Così, ci eravamo rivolti al preside del liceo che frequentava (fino alla classe 4ª Marco ha studiato infatti al Volta di Riccione), per sapere se era possibile avere delle agevolazioni all’esame di Stato, proprio in considerazione del suo intenso impegno sportivo, qualcosa che Marco poteva già considerare un “lavoro”, ma che per lui era un’autentica e pura passione. Ma il preside non si dimostrò per niente disponibile, anzi. Disse chiaramente che non aveva alcuna intenzione di permettere che per mio figlio ci fosse un occhio di riguardo. Così, abbiamo vagliato proposte alternative e ci siamo rivolti all’Alberti, dove Marco ha dato l’esame studiando come privatista e diplomandosi con 81/100».

Dell’istituto Alberti, che si appresta ad affiggere una targa in ricordo di suo figlio Marco in aula magna, ha invece un bel ricordo?

«Assolutamente sì, è stata una bellissima sorpresa. Il preside si è dimostrato prima di tutto un amico, un confidente, oltre che un ottimo punto di riferimento per mio figlio. Era anche un grande appassionato di moto, e so che ha apprezzato molto mio figlio, sia dal punto di vista professionale, che soprattutto umano. Ancora oggi, servo un bellissimo ricordo di lui e siamo ancora in contatto. Sono davvero onorato di presenziare il 5 dicembre, quando mi consegneranno il diploma di mio figlio e affiggeranno al muro quella targa, un ricordo indelebile di Marco, ragazzo “normale”, umile e modesto, diventato leggenda».

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