Oggi la riesumazione di Minguzzi. Gli esami a 31 anni dall’omicidio
Le domande irrisolte
Gli esami dovranno accertare quale sia stata la causa della morte, quali mezzi la produssero, il tempo in cui presumibilmente avvenne, il nesso di causalità tra la morte e l’evento che la provocò. Saranno queste le domande alle quali dovranno rispondere i consulenti tecnici nominati dalla Procura e quelli scelti dai legali dei tre imputati (gli avvocati Massimo Martini di Ravenna per Tarroni, Armando Giuliani del foro di Ascoli Piceno per Del Dotto e Luca Orsini per Tasca), oltre a quelli scelti dalle parti civili (la famiglia Minguzzi tutelata dall’avocato Paolo Cristofori). Gli accertamenti si presume vadano a comprendere anche indagini genetiche su prelievi del cadavere, finalizzati a individuare “substrati biologici riconducibili a soggetti terzi”, comparandoli poi con quelli degli indagati, ai quali è già stato chiesto il consenso per il tampone salivare.
I resti di Minguzzi saranno trasferiti da Alfonsine a Pavia all’istituto di Medicina Legale, dove alle 13 è fissato l’inizio dell’autopsia. Saranno poi necessari 60 giorni - come chiesto dai consulenti alla luce della particolare complessità degli esami - prima di avere dei risultati.
I fatti di 31 anni fa
Il corpo senza vita di Minguzzi fu ritrovato il Primo maggio, Po di Volano. A dare l’allarme fu un canoista impegnato in una gara, che vide il cadavere affiorare in avanzato stato di decomposizione, legato a una inferriata con una corda al collo che stringendosi provocò la morte. Il giovane, carabiniere di leva figlio di imprenditori agricoli delle campagne di Alfonsine, era sparito il giorno di Pasquetta, durante un breve periodo di licenza che aveva sfruttato per uscire con la fidanzata. Da Marina Romea, la coppia si era spostata in serata a Imola per giocare a bowling. Infine il 20enne aveva riaccompagnato a casa la ragazza, dopo di che era svanito nel nulla. Non vedendolo rincasare, la madre aveva avvertito i carabinieri, che qualche ora più tardi avevano ritrovato la sua auto, una Golf rossa, parcheggiata nel centro con le chiavi nel cruscotto. Poche ore più tardi i parenti ricevettero una telefonata con una richiesta di riscatto di 300 milioni di lire. Richiesta reiterata nei giorni successivi, da una cabina telefonica di Lido delle Nazioni.
Tre mesi dopo, lo stesso riscatto fu chiesto a un’altra famiglia di imprenditori agricoli di Alfonsine, i Contarini. In quel caso le cose andarono diversamente: i carabinieri, nel tentativo di incastrare gli estorsori, organizzarono un appostamento nel luogo dello scambio, un punto appartato della Statale. Nell’operazione dall’arma di Del Dotto partì un colpo che uccise l’appuntato Vetrano, in servizio in borghese per arrestare i malviventi. Alla luce delle analogie, dal momento successivo all’arresto dei tre si cerco di mettere in relazione i due episodi. Le indagini, tuttavia, non arrivarono mai a una prova sufficiente per incastrarli. Così i tre vennero condannati poi a pene tra i 22 anni e mezzo e i 25 solo per quell’ultimo episodio.