A Novafeltria e Verucchio il Pirandello riscritto da Alessandra Pizzi

«Questo testo mi ha fatto tornare in teatro dopo 12 anni. Non conoscevo la regista, mi ha cercato attraverso amici e inizialmente ho detto no, però dopo la lettura ho cambiato idea. Ho trovato una sintonia su tante cose, ho apprezzato il coraggio di osare, in un momento in cui in Italia è difficile trovare in teatro chi vuole mettersi in discussione».
Quindi ha accettato perché ha visto in questo lavoro una sfida?
«Sì, è la motivazione principale. Portare oggi in teatro un testo di filosofia, di etica, in un tempo in cui la morale sembra scomparsa da questo paese, è una sfida non da poco, senza contare il modo in cui viene riproposto».
Cosa può dirci di questo adattamento?
«A me non piace anticipare, non amo raccontare lo spettacolo. Dico solo che il testo è splendido e la scenografia è pazzesca e dopo lo spettacolo ne parlo col pubblico».
Quindi se non ci parla del lavoro ci dica: che tipo di esperienza è?
«Mi ha dato una spinta motivazionale forte e si è rivelata un’esperienza fantastica, compartecipando l’emozione è diversa».
Quindi non abbandonerà per altri 12 anni il palcoscenico?
«Da questa straordinaria sintonia con Alessandra oltre a questo Pirandello sono nati altri due lavori, di cui Metamorfosi è già in tournée e del terzo inizieremo le prove fra qualche mese».
A lei piace molto intrattenersi con gli spettatori?
«Sì, moltissimo, in 20 anni l’ho sempre fatto, dopo lo spettacolo scendo il mezzo al pubblico e lo faccio anche prima dello spettacolo. Qualche purista storce il naso, invece per me è naturale, sono lì, in mezzo a loro e parlo con loro, prima e dopo. Il rapporto col pubblico è impagabile».
Cosa molto apprezzata dal pubblico che ha dimostrato di amare questo lavoro tanto da tornare a vederlo.
«È così, grande è la risposta affettiva e c’è gente entusiasta che ritorna. Basta leggere il libro degli ospiti, dove invitiamo a lasciare un pensiero, ci sono pensieri commoventi. Questo tipo di pubblico esiste e non bisogna deluderlo, perciò vanno portati in scena testi che rappresentano una sfida contro quello che sembra viviamo oggi: il sonno della ragione».
Fa molte matinée per le scuole, riscontra la stessa attenzione che riserva il pubblico adulto?
«In due anni di matinée abbiamo visto che la sensibilità dei ragazzi è enorme. Anche loro sanno cogliere il livello diverso di certi spettacoli. In merito però devo dire che preferisco le pomeridiane perché durante l’orario scolastico c’è una piccola fascia che si distrae, al pomeriggio chi sceglie di venire a teatro poi segue meravigliosamente».
Lei è siciliano e mette in scena la sicilianità di Pirandello. Quanto contano le sue radici?
«Moltissimo, sono nato a Palermo e cresciuto a Siracusa, dove tornerò a breve per lavoro e ne sono felicissimo. Per crescere serve affondare le radici e le mie sono lì».
Sulla Romagna cosa dice? La conosce?
«La conosco più da tournée che da altro. So che è la più attiva teatralmente parlando e io conservo un ricordo magnifico. Con il regista Angelo Longoni portammo circa 17-18 anni fa a Bagnacavallo lo spettacolo Naja, rimasi sorpreso dalla coda ai botteghini e si respirava un interesse e un’attenzione rari. E noi eravamo ancora sconosciuti».
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