Motus, abbiamo visto il nuovo spettacolo: ecco la recensione

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Come si struttura un lutto collettivo immane? Quando e come esso può dirsi elaborato? Quale orizzonte politico apre la sua elaborazione? Si potrebbe partire da questi interrogativi – che la filosofa post strutturalista statunitense Judith Butler si pone nel saggio “Vite precarie. Contro l’uso della violenza in risposta al lutto collettivo” – per parlare di “Tutto brucia”, il nuovo lavoro di Motus andato in scena al teatro Galli il 1° dicembre.

Da Euripide a Sartre

Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande (che citano Butler) si confrontano qui con la riscrittura che Jean-Paul Sartre fece nel 1964 di “Le Troiane” di Euripide e, come per il filosofo francese, anche le immagini che hanno in mente i due registi di Motus sono quelle dei conflitti dei nostri tempi, di una barbarie che non ha epoca. Tutto brucia, anzi in realtà in scena tutto è già bruciato, tutto è cenere, devastazione, oscurità, tutto è già successo: Troia è in fiamme e le donne superstiti, tra loro Ecuba, la regina sconfitta, Cassandra e Andromaca, attendono di essere imbarcate sulle navi dei Greci vincitori e lasciare per sempre la patria. Un’univoca atmosfera di dolente inquietudine in cui le prime parole arrivano dal canto struggente di Francesca Morello/R.Y.F. – fenomenale, e non lo scopriamo certo oggi – che introduce (e contrappunterà fino alla fine) le due figure di Silvia Calderoni e Stefania Tansini, simili a spettri (ma tutto è un fantasma in questo lavoro), personaggi femminili che cantano la città distrutta e gridano i timori e la rabbia che appartengono alle donne dei vinti di ogni tempo e luogo. Ecuba, mater dolorosa al centro della scena, la profetessa non creduta Cassandra, Elena, la straziata Andromaca, che abbandona il figlio Astianatte al suo destino.

L’impotenza dell’essere umano

In tutto il lavoro – un canto sull’impotenza inevitabile dell’uomo – la presenza viva e acuta del dolore si congiunge con la convinzione dell'eroicità della sventura di fronte alla vittoria dei distruttori. Una vittoria però solo apparente, poiché ognuna delle protagoniste dell'opera trova il modo di reagire, a proprio modo, alla tremenda sventura che le ha colpite. I vincitori, invece, ossia alcuni dei più grandi eroi della mitologia greca, si comportano solo come insensati aguzzini, capaci della più bruta barbarie senza la minima remora.

Ma, lo ribadiamo, quelle ceneri sono anche le nostre, quelle distruzioni ci circondano completamente ora, in questo esatto istante. Le donne troiane hanno perso tutto, ma non la loro dignità umana, che invece gli spietati soldati greci sembrano non aver mai posseduto.

L’incedere di “Tutto brucia” è onirico, alla ricerca di qualcosa che ogni passaggio contribuisce sia a rendere più percepibile che più inafferrabile, e la forza icastica della rappresentazione è grande, con un’energia quasi fisica che promana da ogni angolo della scena, dove le due protagoniste, costrette a confrontarsi con la crudele ferocia scaturita dal destino oscuro, si muovono con furia soavissima. E forse, vien da pensare, “Tutto brucia” non è uno spettacolo adatto a un teatro all’italiana, dove il luogo scenico è troppo distante dal pubblico, impossibilitato a farsi travolgere dalla mesmerica espressività delle tre interpreti. «Anche il mare brucia, per quelli che cercano rifugio».

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