Meldola, Cochi Ponzoni al teatro Dragoni: l'intervista

Verità inaspettate emergono da un fascio di lettere, e ci si ritrova tutto d’un tratto a guardare la propria vita con occhi diversi: lo spettacolo “Le ferite del vento” del giovane drammaturgo Juan Carlos Rubio, è al teatro Dragoni di Meldola questa sera, martedì 15 febbraio (ore 21). In scena, diretti da Alessio Pizzech, ci sono Cochi Ponzoni e Matteo Taranto in un testo capace di alternare sfumature divertenti e commoventi a momenti di grande drammaticità: nel 2017 lo stesso Rubio ne diresse la versione cinematografica con Daniel Muriel, e Kiti Mánver “en travesti” nei panni dell’anziano amante del padre di Davide, qui interpretato da Cochi Ponzoni.

«Il tema principale di questa pièce – riflette Cochi – è la difficoltà dell’attenzione fra genitori e figli, e inoltre quella di accettare la diversità: non solo sessuale ma anche sentimentale. Alla morte del padre, Davide trova delle lettere indirizzategli dall’uomo che interpreto, lettere che raccontano un rapporto incompleto fra i due, rimasto platonico e quasi fiabesco, ma che svelano al ragazzo un’immagine del padre inaspettata e che proprio non corrisponde alla visione che aveva di lui. Da qui, il suo desiderio di conoscere i motivi di quel rapporto, e anche l’uomo che ne era stato protagonista».

Un rapporto mai nemmeno sospettato.

«Ma in grado di crearne un altro: quello fra il ragazzo e questo anziano uomo sofferente, reduce da tanti traumi ma con una grande vitalità che lui continuamente rinnova aggrappandosi a un mondo immaginario. È anche questo un bel tratto del dialogo fra i due, la concretezza del giovane contrapposta alla fantasia del vecchio, che però riesce a educare Davide a un modo di considerare le cose diverso da quello che il giovane aveva sempre concepito».

Il personaggio che lei interpreta non le è usuale.

«Non avevo mai impersonato un gay in effetti, ma in molti ruoli, come in “Cuore di cane” e in “Omobono e gli incendiari”, ho ripercorso come qui la capacità di una persona di creare un mondo immaginario, anche fiabesco, e divertente perché costruito attraverso tante battute. È normale del resto che arrivati a una certa età ci si aggrappi a ricordi e fantasie che sono iniezioni di vitalità, come fa il mio personaggio. Allo stesso tempo, ricordo quando ero un giovane come è Davide in scena. Mi rispecchio in lui quindi e nelle tante lacune che si hanno a quell’età: e instauro una sorta di pedagogia sentimentale su questo ragazzo che il padre non si è mail filato e che scopre quanto gli siano mancati calore e attenzione proprio grazie al trauma di questa scoperta».

Davvero un trauma.

«E infatti Davide è pieno di rabbia e anche di rancore. Ma l’anziano lo congeda con queste parole, “Abbi cura di te e perdona tuo padre”: non si prospetta quindi una soluzione facile, né rassicurante, e fra i due personaggi esiste tensione, quasi gelosia da parte del ragazzo nel momento in cui conosce una persona che aveva adorato quell’uomo algido, dedito solo al lavoro, una specie di monumento davanti al proprio figlio».

In realtà, quindi, anche questo personaggio mantiene tratti di quel Cochi surreale a cui si ispirano ancora tanti comici e personaggi di spettacolo.

«È un affetto il loro, penso ad Ale e Franz ma anche a molti altri, che sia io che Renato avvertiamo con piacere… anche perché è inaspettato! Quello che facevamo in duo era molto naturale e non preparato, sgorgava dalla nostra amicizia, dalla vicinanza con Jannacci e con tanti altri amici. E ora, in tarda età, raccogliamo manifestazioni d’affetto davvero insospettabili. Ma c’è un segreto: da ragazzini, alla fine del anni 50, avemmo la fortuna di condividere la vita delle osterie milanesi, di conoscere persone come Fontana, Eco, Marcello Marchesi, Tinin e Velia Mantegazza che mettevano a disposizione la propria galleria per esporre opere. Questo humus ci ha trasmesso un atteggiamento disincantato verso la vita, una grande voglia di rischiare… E ci è andata bene!».

Biglietti: € 22-12. Info: 0545 64330

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