Martinelli: «Se non si è fedeli d’amore non si può comprendere Dante». Libro e spettacolo a Rimini
RIMINI. Due serate imperdibili attorno alla figura di Dante e al nostro presente con protagonisti due maestri del teatro contemporaneo, Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, fondatori e anime del Teatro delle Albe. Stasera giovedì 13 febbraio alle 20.30 in Cineteca la presentazione del libro di Martinelli Nel nome di Dante. Diventare grandi con la Divina Commedia (Ponte alle Grazie), seguita dalla proiezione di The sky over Kibera, film d’arte dove Martinelli racconta la “messa in vita” della Divina Commedia nello slum di Nairobi.
Domani, venerdì 14 alle 21, per la prima volta al teatro Galli, portano in scena lo spettacolo ideato e diretto insieme Fedeli d’amore interpretato da Montanari che anche per questo ruolo ha ricevuto il Premio Ubu.
Martinelli, rispetto al grandioso progetto, “Cantiere Dante” di cui avete messo in scena “Inferno” nel 2017, “Purgatorio” nel 2019 e nel 2021 sarà la volta di “Paradiso”, coinvolgendo l’intera città di Ravenna, questo spettacolo come si colloca?
«È un cammeo per il palcoscenico nato dal desiderio di portare Dante al di là della Cantiche che sono eventi intrasportabili. Una maniera per portarci dietro l’amore di una vita, quello che nutriamo per Dante, e in un certo senso completa il progetto che si chiuderà nel 2021».
Cosa preparate in quello che sarà il 7° centenario dantesco?
«Porteremo il nostro Dante in un grande viaggio dall’Argentina all’India, poi in Kenya, a New York e in tante altre parti del mondo, come uno scrigno che va a esplodere. Le tre Cantiche non saranno riproposte nella loro forma originaria, gigantesca, ma faremo degli affondi danteschi in cui sarà simile il corto circuito tra artisti e cittadini. A Ravenna debutterà Paradiso nell’ambito di Ravenna festival, ma riprenderemo sia Inferno che Purgatorio e ci sarà la possibilità di seguire tutte e tre le Cantiche insieme per una durata di 8-9 ore».
Perché “Fedeli d’amore”?
«Perché se non si è fedeli d’amore non si può comprendere Dante, lo si può leggere, apprezzare ma non capire. È una sua espressione e lui all’amore dà un significato totale, lui che bambino di nove anni vede la bambina Beatrice vestita di rosso e quell’amore lo custodisce fino alla morte».
L’amore è davvero salvifico?
«Per noi è così, crediamo nell’amore salvifico a costo di passare per inguaribili romantici. Del resto, cosa ci può salvare se non l’amore, che è un dio misterioso ma è l’unico a cui aggrapparci per uscire dal groviglio di nodi in cui siamo invischiati, dalla selva in cui si muove la fragilità umana?».
Ciascuno di noi è Dante?
«Sì, lo è. Dante è ogni uomo. Ogni uomo si perde nella sua selva e ognuno di noi la conosce ma sa che altrove ci può essere la luce».
La struttura della narrazione è costruita come un polittico con 7 quadri, cosa li unisce?
«Il filo è la nebbia che arriva fino a noi. Col mio testo entro in relazione con Dante per parlare dell’Italia di oggi che non è così immutata; come scrive Manzoni, è pentita sempre e non cambiata mai, un Paese con un male profondo nonostante la bellezza e i doni che offre. Sono quadri che si sviluppano fino alla fine della sua vita».
Una fine che di fatto non lo è perché il passaggio estremo deteriora il corpo ma libera un’energia eterna?
«La febbre malarica al suo ritorno lo squassa, ed è come se la selva oscura volesse ringoiarlo, invece ha un’ultima apparizione che lo traghetta nelle braccia dell’amore eterno».
È qualcosa di più dell’arte che rende eterni i poeti?
«A Dante non basterebbe e neanche a me. C’è una verità: l’arte è un grande veicolo, ci aiuta moltissimo, ma se c’è salvezza sta da un’altra parte».
Come avete reso questa dimensione spirituale?
«Ermanna è un medium straordinario, la sua voce potente è un concerto vero e proprio».
Quale è oggi la sfida da raccogliere in Dante, considerato l’incarnazione umana dell’intero Occidente, e come si può trasporre nel rapporto tra privato e politico, tra umanità ed etica, tra realtà e immaginazione?
«È ciò che abbiamo fatto a Nairobi, dove abbiamo lavorato con 150 tra bambini e adolescenti realizzando il mediometraggio che vedremo stasera».
Con quale frase descriverebbe l’esperienza?
«Trovare il paradiso dentro l’inferno. Quei ragazzi hanno gli occhi pieni di luce, non sanno cos’è la noia, poesia e bellezza sono per loro beni primari, così lontani dalle solitudini immedicabili dei nostri giovani».