Marta Del Grandi al Verucchio music festival

Archivio

È Marta Del Grandi la protagonista oggi del 34° Verucchio music festival, promosso dal Comune con la direzione artistica dell’agenzia Ponderosa. A lei il compito di inaugurare il lungo weekend musicale che ha inizio oggi e termina domenica, secondo step dell’edizione 2023.

Giovane, milanese, diplomata al Conservatorio, la cantautrice e vocalist si può definire cittadina del mondo poiché ha all’attivo una lunga permanenza all’estero. Prima in Belgio, dove ha studiato, e in Oriente, in Cina e in Nepal. Non è molto che è rientrata in Italia, è qui dal 2020, e nel 2021 ha pubblicato il suo primo album da solista. Ora è la volta del secondo, titolo “Selva”, che presenterà in anteprima proprio stasera al festival, nel giorno in cui esce anche il secondo singolo, che prepara l’uscita del disco il 20 ottobre prossimo.

Il suo maturo stile vocale è folky, West Coast, etereo, pronunciato, avvolgente, esotico, esplorativo, e la sua è una presenza camaleontica che fa da contraltare alla musica giocosa ed evocativa ricca di sfumature che parte da strutture classiche e arriva tra i vari generi anche ai sintetizzatori elettronici.

È la sua prima volta a Verucchio, conosceva il festival?

«Sì, è la prima volta che vengo ma conosco il festival e sono molto contenta di partecipare a una kermesse storica così importante, e lo sono anche perché questa è una bellissima regione dove mi piace venire».

Che cosa proporrà in concerto e chi avrà accanto?

«Saremo in due. Ho chiamato ancora una volta accanto a me Flavia Massimo, violoncellista abruzzese che ha partecipato al nuovo disco “Selva” e anche al precedente “Until we fossilize”, tra noi c’è un’ottima sintonia. Presenterò brani del disco precedente, ma anticiperò anche diversi pezzi tratti dal nuovo album che uscirà a ottobre. E farò una cover, a sorpresa».

Lei scrive a canta in inglese, anche questo nuovo lavoro è impostato così?

«Sì, io canto in inglese, ma in “Selve” c’è un brano in italiano, di fatto è una micro poesia nella nostra lingua. Ma ancora non so se questa sarà una contaminazione futura».

Ora il suo percorso professionale ha preso la strada solista, ma non ha iniziato così.

«Il mio debutto discografico, con l’album “Invertebrates”, l’ho fatto nel 2016 con una band denominata MartaRosa, una formazione di musicisti belgi. Poi ho dato vita a un progetto diverso, frutto di un lavoro più personale e più strutturale. Le scelte sono state più focalizzate sulle mie idee e in questo ha molto influito la nuova etichetta discografica inglese, la Fire Records, con cui ho realizzato il disco del 2021 e ora il nuovo».

Lei è stata a lungo fuori dall’Italia, ci può parlare delle sue esperienze all’estero e cosa ha significato tornare?

«Sono felice di essere rientrata, mi piace molto l’Italia e ora lavorerò qui. Quelli all’estero sono stati anni molto importanti per la mia formazione di musicista. Venivo dal Conservatorio di Milano dove avevo studiato canto jazz e grazie al progetto Erasmus ho potuto frequentare per 5 anni il Conservatorio di Gent, in Belgio. Quegli anni mi hanno permesso di venire a contatto con una scena musicale molto carica e interessante. E da là ho anche avuto l’opportunità di fare nel 2014 uno stage a Kathmandu e in seguito andare in Cina, dove ho insegnato».

L’Oriente come l’ha influenzata e cosa le manca?

«In Nepal ciò che più mi ha colpito è la percezione del tempo a misura d’uomo e in sintonia con la natura e coi ritmi del sole. Sulla Cina direi che quella è stata una pagina più complicata per me, seppure di grandissimo interesse. La loro storia, la loro cultura sono così ampie, dense, complesse che non è facile entrarvi. Poi ho insegnato a Zhuhai, una città frenetica, enorme anche se comunque piccola rispetto ai loro standard. In ogni caso sono state esperienze notevoli, fondamentali, che hanno segnato la mia formazione e ciò che so fare adesso».

Quali sono i generi a cui si ispira e quanto l’ha influenzata il contatto con le musiche del mondo?

«Sull’ispirazione non sono sicura di dare una risposta univoca. Il jazz è una pagina di storia della musica immensa e studiandolo ci si allena a un’attitudine eclettica, cioè alle contaminazioni di generi, sonorità, testi. In me questo ha un peso enorme così come lo ha la matrice cantautorale internazionale e anche italiana. Io poi amo le sperimentazioni sonore sia in relazione alle vocalità jazz che alla musica elettronica, sono tanti i generi che mi interessano. Sulle influenze dell’Oriente non saprei, però in tanti mi fanno notare di aver colto dei riferimenti, certo le avrò assorbite in maniera inconsapevole e allo stesso modo le restituisco, forse in modo evocativo».

Ore 21.30, piazza Battaglini, sagrato della Collegiata, ingresso gratuito

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui