Marco Balzano al Cantiere poetico di Santarcangelo

Archivio

SANTARCANGELO. «Io non ho vergogna a dire che obbligo gli studenti a leggere, so che non è facile ma per contrarre un’abitudine si deve passare da uno sforzo, come per correre o fare sport, l’obbligo serve a questo. Parallelamente l’insegnante deve saper svelare la bellezza e il senso che stanno dietro e dentro le parole di un libro o di una poesia».
Con questa prima considerazione nella nostra lunga chiacchierata, lo scrittore, poeta, saggista e docente milanese Marco Balzano è entrato nel tema che affronterà oggi al Cantiere poetico per Santarcangelo, giunto alla sua sesta giornata. Dopo averlo atteso già dallo scorso anno, quando il programma del Cantiere 2019 era stato ispirato proprio dal suo libro “Le parole sono importanti”, oggi Balzano, sarà a Santarcangelo in carne e ossa. Due gli appuntamenti: alle 18, nella Sala consiliare, in cui interverrà sul tema “Le parole dei maestri, fra arte e educazione” con la partecipazione di Massimiliano Fabbri, e alle 21, allo Sferisterio, accanto ad Alessandro Bergonzoni, titolo dell’incontro “Poesia, concetto e parola (Pensiero dietro alla parola).
Balzano perché la parola e la lettura sono importanti? Come farlo capire ai giovani, in questo tempo di apatia, nichilismo e analfabetismo diffuso?
«La lettura non credo sia un’attitudine superiore ad altre, e non ci sono ricette in merito. Ciò premesso dico ai ragazzi che la lettura ha la possibilità di non farti sentire in prigione e la letteratura è il modo che l’uomo ha trovato per evadere dalle ristrettezze e dalla miopia del proprio sguardo. I ragazzi percepiscono l’insufficienza della propria esperienza e la lettura come le altre arti, cinema, pittura, musica possono offrire loro un grande aiuto di cui avvalersi».
Lei è un insegnante, come imposta la prima lezione?
«Sì, sono un insegnante nella scuola pubblica e qui la prima lezione, come tutte quelle che faccio, ovunque, sia agli adulti che ai bambini, è sempre la stessa. Leggo il primo canto dell’Inferno di Dante e funziona benissimo: è la dimostrazione che si può andare in profondità. Potrebbe sembrare insolito perché Dante mette in gioco prerequisiti linguistici, teologici, filosofici, storici che non si conoscono ma, essendo ogni verso della Commedia un’immagine che seduce e affascina, partendo da qui è facile coinvolgere tutti. Ci sono elementi della sua vita che spostano l’attenzione dall’aspetto letterario e vanno trasmessi come chiavi di lettura: ha avuto il coraggio di inventarsi una lingua popolare, democratica; era un profugo, ha fatto una vita da esule lontano dai suoi affetti e dalla sua città; ha cantato in modo potente anche l’uomo qualunque rendendolo vicino a noi e tutto ciò illumina la sua dimensione di uomo e di artista».
Oggi parlerà del ruolo dei maestri, quali sono stati i suoi?
«Nella vita se ne incontrano tanti ma bisogna anche volerli incontrare, se uno ha voglia di imparare li incontra. Bufalino ha scritto una frase che io amo: “In ogni paese civile depositari della rivoluzione sono i maestri elementari”. Il mio primo grande maestro è stato quello delle elementari che è anche il protagonista del mio romanzo “L’ultimo arrivato”. Poi ci sono i maestri di elezione che torno a rileggere sempre che sono una miniera».
Chi c’è tra quelli di ieri e i contemporanei?
«Eugenio Montale, John Steinbeck, Javier Marìas, quest’ultimo lontanissimo da me ma grandissimo per la straordinaria capacità analitica e l’indagine psicologica».
Nei suoi romanzi, prendiamo per esempio “Resto qui” l’invenzione è supportata da documentate vicende storiche così come reale è il contesto ambientale. È importante per lei agganciarsi alla realtà che descrive?
«Penso sia fondamentale per ogni scrittore, e ciò serve per rendere un luogo quella metafora in cui identificarsi. Il mio modo per far assumere una validità generale al narrato è saperlo tratteggiare il più precisamente possibile nella sua evidente unicità. In sostanza per essere generali bisogna essere particolari».
Il suo successo come scrittore è stato rapidissimo, ogni suo libro - e lei ha iniziato a scrivere giovanissimo - ha vinto premi prestigiosi ed è tradotto in più lingue, come si convive con la fama?
«La fama non è altro che un fiato di vento. Io continuo ad andare a far scuola che è la vera utilità sociale. Questo status non so se è un vantaggio nella vita perché il rischio è quello di finire per dare troppa importanza alla propria parola. Diciamo che quello che è successo finora è un incentivo per prendersi maggiormente la responsabilità delle storie che sentiamo di raccontare».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui