“Mangiapreti” gli uomini, amiche del parroco le donne

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Il 1877 è un anno storico per la toponomastica riminese: il Consiglio comunale accoglie una richiesta firmata da 56 cittadini e il sobborgo Sant’Andrea, che molti chiamano anche San Gaudenzo, diviene sobborgo Mazzini. Questo il testo della petizione: «I sottoscritti desiderosi di rendere meritato omaggio alla memoria dell’integro precursore dell’Unificazione d’Italia, dello strenue difensore dei diritti popolari Giuseppe Mazzini, rivolgono istanza a codesto On. Consiglio Municipale perché voglia d’ora innanzi chiamare col nome di Sobborgo Giuseppe Mazzini il Sobborgo Sant’Andrea. Convinti che l’On. Consiglio vorrà appagare la loro giusta domanda, con ogni stima e rispetto si pregiano dichiararsi. Rimini, 8 maggio 1877» (Atti del Consiglio comunale di Rimini, seduta dell’8 agosto 1877).

Con il sobborgo anche la piazza prende il nome «dello strenue difensore dei diritti popolari». Per il popolino, tuttavia, lo slargo antistante la chiesa continuerà ad essere la piaza di zés, perché lì, fin dai primi anni dell’Ottocento, favorito dalla presenza dei depositi di materiale laterizio, prende piede il “mercato del gesso”.

In questo sobborgo è attivo un lavatoio pubblico, che fornisce «un servizio d’indiscutibile utilità sociale». Alimentato da una sorgente proveniente dai Padulli, l’impianto è fruito da tutte le massaie del quartiere, molte delle quali lavano i panni anche per i sgnór. Proprio perché tanto frequentato richiede periodici lavori di manutenzione e ammodernamento e soprattutto una più adeguata sistemazione dello spazio delle «operaie del bucato», costrette «a stare per pochi soldi lunghe ore esposte alla brezza diacciata del verno e ai cocenti raggi del sole nell’estate». «Non si può, è vero, ripararle dai rigori del verno – scrive domenica 19 settembre 1880 Libertas, periodico radicaleggiante con sfumature repubblicane –, ma sarebbe ben giusto che il Municipio facesse edificare una tettoia, sia pure rozza e di poca spesa, per ripararle dagli ardenti raggi solari nella stagione estiva. Appartengono, è vero, quelle donne alla “vil plebe”, ma dovrebbe la “sapiente” Giunta “moderata” persuadersi come anch’esse abbiano diritto che i reggitori della cosa pubblica si occupino un po’ più del loro benessere».

I «ristauri al Lavatojo di Porta Montanara» – così è indicata negli atti ufficiali la struttura del sobborgo Mazzini – si susseguono periodicamente e sempre sollecitati dalla stampa, interprete delle lamentele e del «disagio di chi attende al faticoso lavoro di lavandaja». Nell’estate del 1900 il Municipio, a tutela della salute delle massaie, erige la tanto sospirata tettoia.

Abbandoniamo e lavadur e occupiamoci delle lavandaie, che proprio nell’anno della costruzione della pensilina sono protagoniste di una curiosa vicenda che per il pruriginoso intrico di cui si ammanta ha il sapore della pochade. Una pochade che riprende e rinfocola la mai sopita contesa tra papalini e libertini. Di questo episodio abbiamo, purtroppo, solo la versione dei libertini fornitaci da Il Martello, settimanale repubblicano e laicista; L’Ausa, periodico della diocesi, stimando l’argomento sconveniente e di «ignobile bassezza», non ha ritenuto opportuno rinfocolarlo sui propri fogli. Il trafiletto in questione, incolonnato nella cronaca cittadina de Il Martello di sabato 24 marzo 1900 e titolato «Guerra di chieriche», va quindi inteso con beneficio d’inventario, ma recepito come espressione delle dispute di quell’epoca.

Tutto parte dalla morte dell’anziano parroco di Sant’Andrea e dalla certezza che a sostituirlo sarebbe stato don Enrico Badioli, da molti anni cappellano della parrocchia. «Un bel prete – scrive il giornale – affabile e gioviale», ma «non troppo in grazia ai capoccia del clero riminese», che ne hanno nominato un altro. Il nuovo arrivato – ma soprattutto la mancata “promozione” di don Enrico – dà adito ad una animata querelle. «I fedeli del sobborgo Mazzini, e soprattutto le numerose lavandaie», riferisce Il Martello, non hanno ingoiato il rospo ed hanno inviato al vescovo una protesta «firmata da ben trecento parrocchiani, nonché parrocchiane». Le lavandaie, sempre a detta del periodico, «minacciano nientemeno di non andare più in chiesa ad ascoltare la messa, né confessarsi, né comunicarsi». Una faccenda, questa della dipartita del vecchio parroco, del «bel prete» e dello «scisma del borgo», che imbarazza i clericali e fa allargare le ganasce dal ridere gli anticlericali.

Risate di gusto e liberatorie, poiché il sobborgo «dell’integro precursore dell’Unificazione d’Italia», che si vanta di essere il quartiere più mangiapreti della città, ha un grosso handicap che innervosisce e che è mal sopportato: le donne – le donne degli acerrimi nemici della “sottana nera”– non solo vanno a messa ogni domenica mattina, ma quando c’è la processione del Corpus Domini mettono anche nelle finestre e nei balconi delle proprie abitazioni le coperte più belle e colorate del corredo. A chiusura della pagina, una noterella. Il lavatoio di borgo Mazzini rimarrà attivo fino agli anni Sessanta del Novecento; a farlo cadere in disuso sarà la concorrenza “sleale” degli elettrodomestici.

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