Magrini «Dal Cervia all'Equipe Romagna: la mia vita è il calcio»

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Giancarlo Magrini, quando ha deciso di allenare?

«Me lo hanno fatto fare a Cervia, ero aggregato alla prima squadra in quella che era la C2 di adesso. Io non sono mastodontico, giocavo con la Juniores ed ero una riserva nella prima squadra dove parlavo sempre con due attaccanti ex del Modena, Bolognesi e Scarassia. Avevo tante idee, parlavo tanto anche in campo ed allora mi hanno proposto di fare l’allenatore-giocatore della Berretti: i ragazzi mi volevano bene, ero comunque un tipo molto severo su cose come i capelli corti. Ho cominciato quindi nel 1965-’66, anno in cui ho cominciato anche ad arbitrare…».

Davvero?

«Sì, in campo non stavo mai zitto ed ero anche quello più rognoso. Un giorno mi venne voglia di provare a fare l’arbitro: nel giro di un anno, arrivai ad arbitrare il Trofeo Guberti al Benelli di Ravenna dove si affrontarono Sampdoria e Genoa. Era una gara importante, ma con i soldi da arbitro si andava poco in là: mia mamma mi fece prendere il diploma da cuoco per seguire la tradizione di famiglia, io ho continuano ad arbitrare fino alla Promozione. Facevo anche i tornei estivi: se c’era uno in campo che faceva il furbo, me ne accorgevo subito. Andai ad arbitrare il campionato riserve Rimini-Perugia: espulsi Castagner del Rimini perché continuava a protestare. Dopo 15 giorni, andai a giocare a Rimini con il Cervia e la gente un altro po’ e mi picchia: non si poteva giocare ed arbitrare, così scelsi di allenare mentre rimasi arbitro nella Uisp. Ho sempre cercato di informarmi sui regolamenti e di spiegarli ai giovani durante tutti i raduni delle nazionali: sono stato 30 anni con le diverse nazionali giovanili, mi ricordo ancora quella volta che con Ottavio Bianchi e Rocca ci furono da arbitrare 5 partite di Giovanissimi a Coverciano. "Chi le arbitra, quello lì?" dissero. Rocca rispose: "Non vi preoccupate". Le feci tutte, sono piccolo ma correvo tantissimo».

Corre anche la carriera: il giovane Magrini passa al settore giovanile del Cesena.

«Con il Cesena ci fu da rimettere in moto tutto il settore giovanile, ma anche da sistemare i campi. Mi ricordo che avevo la Citroen Pallas, quella che si alzava e si abbassava: per "spianare" il terreno di gioco, attaccai una rete dietro la Citrown e mi feci tutto il campo, però ad un certo punto si alza un gran fumo. Insomma, avevo bruciato la frizione: per fortuna che un meccanico amico me la riparò e mi permise di ripagarlo un po’ alla volta perché avrei speso tutto il mese di stipendio da 110-120 mila lire in quella frizione. Erano altri tempi, ovviamente: ci fu da mettere assieme la scuola calcio a San Vittore, Bagnarola, San Giorgio, Castiglione, dando un abbonamento ai presidenti e portando anche Piraccini ed Arrigoni. Ero il secondo di Bersellini nelle riserve, ci sarebbe stata la possibilità di andare al Napoli ma non se ne fece niente».

E lì Magrini si mette in proprio…

«Faenza e Forlimpopoli in D, dovevo poi fare il supercorso a Coverciano con, fra gli altri, Lippi e Vatta, ma per un litigio fra Bearzot e Allodi tutto saltò. Tornai a Cervia, ma la squadra aveva già Mazzanti allenatore e mi spostai a Cesenatico, dove fummo promossi in C2. Che squadra, quel Cesenatico: Lorenzo e Del Monte in attacco segnarono 46 gol indue e riuscimmo a salire, una cosa che nel calcio di adesso sarebbe impossibile visto che vincemmo il campionato in un girone con Chieti, Ancona, Riccione. Da lì a Forlì, dove restai due anni e potevo anche portare Ravanelli in biancorosso, ma la proprietà di Bellaria, nella quale c’era anche Varrella, non lo volle. Quando poi Varrella lavorò assieme a Sacchi con la nazionale, appena Ravanelli lo vide gli ricordò che 15 anni prima non lo avevano voluto al Forlì».

Ravanelli ma anche Schernardi-Francioso-Bombardini in quegli anni allenati lungo la via Emilia fra Forlì-Sassuolo ed Imolese…

«Mi ricordo che Francioso lo acquistammo dal Galatina per un quintale di piastrelle, visto che il presidente del Sassuolo aveva una ceramica e faceva affari con il presidente dei pugliesi. Poi Francioso andò all’Avellino dove allenava Bersellini, con il quale c’era un bellissimo rapporto. Di Bombardini a Imola mi ricordo che lo feci esordire in D a 16 anni e che i suoi genitori vennero a casa mia a Cervia: la mamma era caporeparto e voleva che il figlio studiasse perché aveva già il posto fisso in fabbrica, mi ricordo che mentre parlava, dietro di lei il babbo scuoteva la testa. Io gli dissi “Signora, in fabbrica ci può andare fra un anno, lo faccia provare che io ho stima di lui”: quando l’ho rivista 25 anni dopo mi ha abbracciato e ringraziato, mi ricordo che allora mia moglie mi disse: "ma avrai fatto bene a dirgli di provare a giocare a calcio?..." Cissà».

Magrini e i giovani: ci dice cosa guarda per prima cosa quando valuta un giocatore?

«L’atteggiamento con cui scendono in campo, anche partendo da come si allacciano le scarpe. Per prima cosa mi concentro sull’atteggiamento che hanno nei confronti dei compagni, dell’arbitro, dell’allenatore poi guardo al resto, ovvero alla struttura fisica e a come uno si pone davanti agli errori che commette: se è bravo, capisce e cerca di non ripeterli, se invece continua per i fatti suoi è un problema, perché l’errore, piccolo o grande che sia, ti può sempre condannare. Vado a vedere un ragazzo almeno tre volte, voglio capire se uno è quello che chiamo “un giocatore del giovedì” oppure no, ovvero se fa colpi buoni solo per l’allenamento quando non conta niente oppure se riesce a farne anche in partita».

La lista dei giocatori che ha segnalato o allenato nelle nazionali giovanili è lunga…

«Bianchi, Minotti che avevo a Cervia nelle giovanili e poi portai a Cesena, Torrisi, Marocchi (che però inizialmente l’Inter snobbò), Buffon, Giuseppe Rossi, Sculli, Barone e Zaccardo che giocava da mezzala ma che io nelle nazionali giovanili impostai come terzino: Christian me lo dice sempre che gli ho cambiato la vita, visto che è arrivato ai Mondiali da terzino».

A proposito di vita che cambia, ci sono altre due cose da ricordare: la prima è certamente il Cervia dei Campioni, del quale quest’anno ricorrono i 15 anni. La coppia Graziani-Magrini non si dimentica…

«Graziani è una persona straordinaria, molto simpatico e molto preparato: non è stato campione del mondo per niente. Mi lasciò comunque carta bianca in quei due anni, perché lui non poteva certo conoscere Massalombarda, Copparese e tutte le altre squadre che c’erano in Eccellenza. Lo diceva anche in televisione: di calcio parlate con Magrini, con me parlate di altre cose. Non credo che quella possa essere un’esperienza replicabile, perché il mondo è cambiato e comunque erano davvero tanti i soldi che c’erano dietro per tenere in piedi quella trasmissione. Mi ricordo che era incredibile andare a giocare a metà settimana in amichevole con le squadre di serie A: con gli stadi pieni e gli autografi che li chiedevano a noi e non al Milan. "Siamo proprio fuori di testa" mi dicevo sempre in quei giorni…».

Di quei "campioni" faceva parte Lorenzo Spagnoli, che adesso è qualcosa più del presidente dell’Imolese…

«Ci siamo visti anche domenica scorsa a Cesena, abbiamo parlato tanto prima della partita. Io avevo i piedi buoni, nelle mie squadre ho spesso allenato i portieri: ho insegnato io a Spagnoli a tirare le punizioni…».

Magrini in Romagna vuol dire però anche Equipe Romagna, ovvero quell’esperienza del lavoro con i disoccupati del calcio che fu qualcosa di rivoluzionario…

«E’ vero. Tutto cominciò nell’estate del ’90 con il fallimento del Taranto, con diversi giocatori che conoscevo che mi chiesero, visto che ero libero, se li potevo far allenare. C’erano Murelli, Lorenzo, Leoni, Jozic, Marin: mi viene l'idea e fece boom, abbiamo lavorato per 27 anni rilanciando giocatori come Di Canio e anche Paramatti, che voleva smettere e che invece poi riuscì ad arrivare al Bologna ed alla Juventus. Corse in pineta e lavoro in spiaggia, capelli a posto e niente tatuaggi: le regole erano chiare. Mi ricordo quella volta che arrivò Negri con barba lunga e tutto vestito strano. Io lo guardai e dissi “io con quei capelli lì non lo voglio”. Lui chiese: “posso allenarmi?". Gli risposi, indicando gli altri: “qui si lavora così”. E’ andato via ed il giorno dopo tornò "a posto": giuro sui miei 2 figli che non l’ho nemmeno riconosciuto, nella sua biografia mi ha citato come il tecnico che lo ha ricaricato visto che voleva smettere. Andò a Livorno e fece molto bene, Donadoni mi chiedeva sempre come avessi fatto a rimetterlo in moto».

Cervia vuol dire anche sabbia: nella bacheca di Magrini c’è anche un argento mondiale con il beach soccer…

«Sì, ho fatto anche quello. Mi ricordo che l’allenatore Silipo andò ad allenare a Catanzaro in C ed allora decidemmo di affidare la nazionale al giocatore più vecchio, poi dopo un anno decisi di provarci io assieme a “Icio” Galli. Lui però giocò anche nel campionato sammarinese ed alla fine allenai da solo e mi ritrovai vicecampione del mondo a Marsiglia nel 2008 con la medaglia d’argento che mi consegnò Platini. E’ stata una bella soddisfazione, come quella dei tanti premi che ho ricevuto in carriera: quando sono stato allenatore della nazionale dilettanti ho ricevuto tanti premi, in più ho avuto 27 premi per tutte le rappresentative che ho allenato. Per 13 anni con le rappresentative romagnole sono arrivato sul podio vincendo un anno lo scudetto con i giovanissimi dove c’erano Della Rocca, Giuseppe Rossi e Lupoli».

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