Lotta, Andrea Minguzzi rivive l'oro olimpico

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L’ultimo trionfo nella lotta ai Giochi Olimpici porta la sua firma e lo spirito combattivo non lo ha mai abbandonato. Andrea Minguzzi da Imola non è stato il campione di un giorno e ci tiene a sottolinearlo, anche se ha legato il suo nome all’impresa del 14 agosto del 2008, quando, da outsider, seppe vincere il titolo olimpico battendo tutti gli avversari più forti.

«Ognuno ha la sua storia - racconta il lottatore romagnolo, oro nella categoria 84 kg, quella più frequentata - io ho faticato tantissimo per conquistare quello che per me è sempre stato il sogno, l’oro olimpico. Non ho rimpianti: è vero, piacerebbe a tutti vincere tre Mondiali, tre Europei e magari anche l’oro olimpico. Qualcuno ci è riuscito ma non sono tanti. Io ho una sola grande vittoria internazionale nel palmares ma in pochi sanno quanto ho lavorato per raggiungere quel traguardo che mi tengo ben stretto perché c’è chi lo insegue per tutta la vita e non lo raggiunge. Qualche rammarico ce l’ho per il dopo oro olimpico. Ero al massimo delle mie potenzialità e non sono stato gestito nel migliore dei modi: è cambiato completamente il mio staff ed è stato più difficile recuperare dagli infortuni. Ci ho provato a rientrare ma dopo lo stop di due anni è complicato, anche se posso dire di essere andato a un soffio dalla qualificazione alla mia seconda Olimpiade».

Di Pechino porta con sè soprattutto un’immagine. «L’azione decisiva - racconta - avevo già visualizzato tutto nella mente un attimo prima e poi l’avversario che si alza da terra e il tonfo della caduta. Il resto è stato gioia immensa. L’inno, la medaglia, i complimenti di tutti. Ma quel momento è la fotografia che mi resterà impressa per tutta la vita».

Vittoria è il nome che ha scelto anche quando è nata sua figlia, nata meno di un mese fa: altro traguardo importante della vita del lottatore imolese che ora fa l’allenatore sempre a Imola, tra gli allievi ha anche il fratello che ha tentato la qualificazione olimpica per Tokyo senza riuscirci.

Un ruolo che gli permette di avere una visione in chiaroscuro sul presente e sul futuro del suo sport. «Giovani che si avvicinano alla lotta ce ne sono ancora per fortuna - continua Minguzzi - ma purtroppo registriamo una situazione disastrosa a livello di gestione degli atleti che hanno qualche qualità da parte della Federazione. Mi sono anche presentato alle ultime elezioni federali per provare a cambiare le cose ma non ci sono riuscito. Del resto i risultati parlano da soli: qualcosa a livello giovanile e stop, si punta tutto sui naturalizzati e i potenziali talenti italiani non vengono fatti crescere come servirebbe e come è stato fatto con noi: sei mesi di lavoro ai centri federali e sei mesi in giro per il mondo a gareggiare e confrontarsi. Questa è la strada da percorrere per risalire la china ma non vedo proprio la volontà. Sulla mentalità dei giovani bisogna dire che magari lo spirito di sacrificio non è più quello di vent’anni fa, c’è più voglia di divertirsi ma questo non preclude la possibilità di crescere quando si prende consapevolezza delle proprie potenzialità».

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