L’economia dei crediti sulle emissioni di carbonio

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Si chiama Ets (Emission trading system) e l’Unione europea lo definisce «una pietra angolare della politica Ue per contrastare i cambiamenti climatici». Al di là delle valutazioni, però, quello che nei fatti è stato introdotto con il Protocollo di Kyoto prima e confermato con gli accordi di Parigi poi, non è altro che la trasformazione delle emissioni di carbonio in strumenti finanziari. Con tutti i pro e i contro che questo può comportare, compreso il rischio di speculazione da parte degli hedge fund, che hanno già fiutato l’affare, specialmente ora che i prezzi della CO2 sul mercato hanno sforato il tetto dei 60 euro (e, non per caso, i prezzi dei futures sui carbon credits sono passati da 4 euro del 2017 a quasi 40). «È un rischio assolutamente reale» assicura Anna Montini, coordinatrice del Corso di Laurea Magistrale in Resource economics and sustainable development nella sede riminese di Unibo. «Tutto quello che entra a far parte del mercato finanziario, specialmente quando comincia ad acquisire valore, corre questo pericolo».

Strumenti “green”

Cosa siano esattamente questi strumenti finanziari e su come vengano scambiati, la Montini lo spiega prendendo ad esempio proprio un sistema complesso come l’Europa. «L’Ue ogni anno definisce un livello massimo di emissioni che non possono essere superate – spiega –. Questi valori vengono poi distribuiti sui vari sistemi produttivi e di anno in anno sono sempre più stringenti, con l’obiettivo di arrivare alle famose emissioni zero entro il 2050». In questo contesto si inserisce il sistema mercato, «perché ci sono aziende virtuose – prosegue la Montini nel ragionamento – che riducono le emissioni ben oltre i limiti previsti e viene data loro la possibilità di emettere dei cosiddetti crediti di inquinamento (carbon credits). Allo stesso modo, le imprese meno virtuose possono acquistare questi crediti, così da compensare le emissioni e raggiungere le quote stabilite a livello comunitario». Molto simili sono i “regulatory credits”, o quote verdi, dedicati specificamente alle case automobilistiche. In Romagna, la Santarcangiolese AR98, visti i suoi successi per l’impatto zero, sarà la prima azienda italiana a finanziarsi in questo modo. Infine, troviamo i Green bond, strumenti finanziari a reddito fisso utilizzati per finanziare progetti che hanno benefici ambientali o climatici, emessi ad esempio da Eni.

Greenwashing

Tutti questi strumenti conducono però a un grande punto interrogativo, il cosiddetto effetto “greenwashing”, ossia l’ecologismo di facciata. Se basta acquistare crediti di inquinamento per rientrare nei limiti, perché impegnarsi? Ci penserà qualcun altro a farlo per noi, potrebbero pensare le realtà più inquinanti. «Chiaro che ci può essere un incentivo per le aziende più pigre – ammette Anna Montini –, specialmente fino a quando il prezzo rimarrà economicamente vantaggioso. Il prezzo, non dimentichiamolo, è sempre la leva».

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