Le vie dell'amicizia 2022: dopo Lourdes, Muti a Loreto

Sembra guardarli uno a uno negli occhi, Riccardo Muti, mentre li dirige, quasi li porta per mano con gesto eloquente, in quelle poche miracolose battute che sono l’Ave verum di Mozart: i bambini riuniti in coro sui gradini della Basilica di Loreto – con loro la statua preziosa dell’inconfondibile Madonna ospitata nella Santa Casa, racchiusa in una teca ornata di luci – chiudono il percorso delle Vie dell’Amicizia di Ravenna festival partite qualche giorno fa da Lourdes, a legare in un unico gesto musicale due dei santuari mariani più radicati nel sentimento religioso collettivo.
Vie che, come mai prima, hanno voluto immergersi nell’attualità più difficile, nella sofferenza dei nostri giorni, e farsi vero e proprio pellegrinaggio spirituale, farsi preghiera, con le parole di Cristina Muti, «tornare a quella fede che al di là del singolo credo e delle diverse religioni, è da sempre il rifugio dell’uomo schiacciato dalla disperazione e dalla catastrofe».
Così, nel raccoglimento della piazza di Loreto, sorta di teatro “naturale”, racchiusa dai doppi ordini di logge esaltati di luce rossastra e affacciati su una composita platea di 1500 persone attorno al palcoscenico, si è levata la vibrazione di un mosaico di “voci in preghiera”, cui anche Papa Francesco ha voluto «spiritualmente unirsi» inviando a tutti la sua benedizione, in un messaggio letto dall’arcivescovo Dal Cin. Un mosaico, affidato all’Orchestra Cherubini insieme ai cori Cremona Antiqua e del Teatro di Kiev, che alla tensione drammatica di cui sono innervati i “quadri” del Magnificat RV611 di Vivaldi (eccellenti le voci soliste di Arianna Vendittelli e Margherita Sala), alla fiamma che illumina il dolore di Maria nello Stabat Mater di Verdi così come nel suo Te Deum l’enigmatica desolazione della fine, accostava la lievità danzata del Concerto per corno K412 di Mozart, esaltata dal sorriso e dal talento di Felix Klieser che, nato senza braccia, suona mirabilmente con il piede sinistro, e lo dimentichi ascoltandolo.
Poi la grana scura e profonda del canto liturgico ucraino e, in un disegno registico che ha preso tutta la piazza (e che Rai Uno restituirà nello speciale del 6 agosto), la tristezza delle voci di una madre e una figlia ai bordi dell’imponente fontana, a invocare la salvezza in un brano di Hanna Havrilec’ di toccante espressività; e ancora la voce più cruda dell’Ave Maria tradizionale che il cantore basco Benat Achiary intona dall’alto del palazzo apostolico; poi di nuovo gli artisti ucraini, con un angelico pas de deux al suono della bandura. Se è vero, come ha detto Muti – dopo aver ricevuto dalle mani dell’ambasciatore ucraino l’onorificenza quale membro straniero dell’Accademia delle Arti dell’Ucraina – che, citando Sant’Agostino, «cantare amantis est», allora la speranza non può venire che dalla musica, dalla bellezza, dall’armonia.