Le startup romagnole hanno il fiato corto, sono tante ma non durano
Quando si parla di innovazione, e soprattutto di imprese innovative, la Romagna deve fare i conti con numeri che vanno in direzioni diametralmente opposte. Dati che, se letti con attenzione, restituiscono l’immagine di un territorio che sembrerebbe trovarsi al centro di una particolare, quanto strana, ambivalenza, perché se è vero che in Romagna, stando alle analisi fatte dalla multinazionale Ernst & Young nel suo rapporto “EY Human Smart City Index 2022”, fioriscono il 18% di startup innovative in più rispetto alla media nazionale, è altrettanto vero che la quantità di piccole e media imprese innovative presenti sulle tre province di Ravenna, Rimini e Forlì-Cesena è inferiore addirittura del 59%, sempre in relazione alla media nazionale.
Cosa significa questo? Secondo gli esperti del colosso inglese della consulenza – che hanno redatto lo studio discusso qualche settimana fa nel corso di Fattore R a Cesena – la lettura che ne andrebbe fatta è quella di un territorio, la Romagna, dove le nuove idee innovative sembrano trovare terreno particolarmente fertile, grazie anche alla presenza rilevante dell’università e di un incubatore e acceleratore come Romagna-Tech (nel cui alveo sono nate e cresciute aziende come Greenbone o Iuv), ma nel quale, allo stesso tempo, la crescita e il consolidamento di queste imprese non sembra riuscire a trovare il modo di svilupparsi. E quando le discrasie sono così rilevanti – si parla appunto di una percentuale di pmi innovative minore quasi del 60% rispetto alla media italiana – la risposta non può essere banalizzata con: “le startup hanno alla base idee non convincenti”, perché evidentemente c’è qualcosa di più e, sempre secondo EY, quel qualcosa ha un nome preciso e si chiama “imprenditoria locale”.
Supporto alla crescita
Cosa significa che manca l’apporto dell’imprenditoria locale per la crescita delle startup innovative? Significa che ancora oggi esiste un limite di tipo essenzialmente culturale, che fa sì che le imprese strutturate romagnole fatichino a vedere nelle startup un reale interlocutore. Il problema è che una realtà imprenditoriale, specie all’inizio della sua “carriera”, vive e prospera se il prodotto realizzato è in grado di trovare clienti, oltre che essere ben fatto e in grado di rispondere ad esigenze reali. Una richiesta di fornitura che, appunto, dovrebbe arrivare proprio da aziende grandi e piccole già esistenti e operanti. «Guarda te questo gruppo di ragazzini che vogliono venire ad insegnarci come si fa» è la frase che, molto spesso, si sente riecheggiare tra i corridoi delle imprese o delle iniziative nelle quali si cerca di mettere in contatto startup e mondo imprenditoriale.Il secondo grande ostacolo è invece di tipo squisitamente economico, poiché a differenza della Lombardia, sicuramente la regione più dinamica da questo punto di vista, e dell’estero, dove il sistema è “oliatissimo”, in Romagna l’accesso ai capitali da parte delle startup è molto più complesso. Il matching con venture capitalist o business angel è articolato e laborioso, complice anche il fatto che il Paese, in generale, è partito fortemente in ritardo su queste tematiche rispetto al resto del mondo e oggi sta correndo per cercare di recuperare il terreno perduto.