Le opere di Claudio Ballestracci per Santarcangelo

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Trasforma case inanimate in testi narrativi, crea nuovi musei reinterpretando poeticamente gli spazi inducendo allo stupore. Ricco e noto è il percorso professionale di Claudio Ballestracci artista, lombardo di nascita e romagnolo di adozione, con all’attivo decine di esposizioni e progetti architettonici, chiamato a reinterpretare con la sua spiccata sensibilità artistica luoghi e spazi da risignificare. Basti citare la Casa Rossa di Panzini a Bellaria-Igea Marina, il Museo Francesco Baracca e il Museo Gioachino Rossini a Lugo.

Oggi ci soffermiamo su L’éra un béus. Finestre poetiche , il suo progetto per i palazzi santarcangiolesi in atto fino alla fine di gennaio e sull’allestimento Per intelligenza e grazia. I burattini hanno casa a Santarcangelo ospitato al Museo Etnografico (Met).

Di lui hanno scritto che «in ogni allestimento permanente o temporaneo, respira la storia, i racconti, le pareti, i muri, li fa propri, quasi fosse un attore che si immedesima di volta in volta nel personaggio da interpretare concedendosi anche il piacere della trasgressione, senza tuttavia suscitare scandalo».

Ballestracci, come riesce a ridare senso agli spazi reinterpretandoli ogni volta poeticamente? Essere un artista significa offrire un valore aggiunto?

«Dipende dal soggetto che devo affrontare. Se ho uno spazio da allestire la prima cosa che faccio è mettermi in ascolto di quello spazio. Partendo dall’ispirazione offerta dal luogo poi ricerco oggetti, materiali, documenti che mi narrano storie su cui ricreare possibili riletture. Tento sempre di immedesimarmi. Se il museo è dedicato a un autore leggo le sue opere e mi faccio tramite delle sue parole, mi specchio in quello che vedo di lui, cercando di far risuonare l’estraneità dell’opera in una forma empatica. Poi nell’allestimento architettonico interviene l’aspetto creativo con la ricerca di materiali che abbiano un’attinenza col senso del racconto per dare risignificazione a quel luogo».

Come è nata l’idea delle finestre poetiche disseminate nel centro storico?

«Dall’esterno una casa abbandonata emana un mistero che affascina. Quando varco la soglia calandomi nei recessi delle sue stanze opero una profanazione del luogo, dissolvendo a volte l’incanto. Da questo spiacevole imprevisto ho ritenuto indispensabile la ricostruzione di quella sottile membrana che separa dal mondo reale e preserva l’aura di queste dimore, e ciò può avvenire solamente con la poesia».

È stato più facile in una città dal rapporto così speciale con i suoi tanti poeti?

«Le finestre di questi 6 edifici dismessi e carichi di storia sono il varco per accedere alla ricchissima fucina poetica dialettale di Santarcangelo portando in scena i versi di Raffaello Baldini, Tonino Guerra, Nino Pedretti e Giuliana Rocchi. E poiché la scrittura letteraria è un pensare con la mano, è scaturita la scelta della mediazione grafica oltre all’ascolto, per rendere manifesta la presenza dei quattro inquilini d’eccezione. Una visione che passa attraverso la regia di Stefano Bisulli e la penna di 12 artisti illustratori: Marianna Balducci, Roberto Ballestracci, Elettra Campana, Eron, Lorenzo Kamerlengo, Elisa Mossa, Alfredo Pompucci, Rohstoff, Francesco Ruggeri, Gianluigi Toccafondo, Yopoz e Tonino Guerra».

Al Met ha ridato vita a un’antica collezione di burattini, marionette e burattette con una metamorfosi sorprendente, come ha fatto?

«Quando ho accettato l’allestimento mi hanno messo di fronte tre scatoloni giganti contenenti la nutrita collezione Salici-Stignani con le marionette avvolte ciascuna in carta velina bianca. Mi sono apparse come dei bozzoli di baco. Aprendoli sono rimasto impressionato: è stato come srotolare il sudario di piccole mummie. Dormivano da tempo immemore e io le stavo svegliando. Lacerando le bende, partivo dal volto scoprendo i loro occhi vitrei, così espressivi da trasmettere la forza comunicativa infusa dai suoi creatori. Così ho pensato di ricostruire il dietro le quinte di un teatro, coi graticci, i ponteggi, le luci basse dove ciascuna marionetta potesse essere di nuovo pronta a entrare in scena e donarci la loro grazia. Lì le ho collocate, sospese a pochi centimetri da terra, un distacco da terra ideale per separarle e proteggerle dal mondo esteriore».

Accanto a questo misterioso popolo di attori in miniatura, in una seconda sala ha esposto abiti, sottogonne, camiciole, l’intimo curato come nessuno immaginerebbe. Viene in mente Visconti che sui set dei suoi film chiedeva che negli armadi, seppur chiusi, fosse collocata biancheria rigorosamente d’epoca.

«L’intento è quello di far vedere in modo ravvicinato questi perfetti manufatti dove ogni dettaglio è curatissimo e ci parla. Muovendo dalle tante suggestioni, nell’allestire la mostra mi sono focalizzato sul burattino/marionetta quale opera d’arte, soffermandomi a osservare sì le fattezze ma anche i preziosi addobbi. Estraniati dal loro naturale contesto di fondali coloratissimi e suggestivi, dall’ambito drammaturgico delle loro vicende, ho cercato di far diventare essi stessi portatori di storie, a cominciare da quelle dei genitori che li hanno costruiti e adottati».

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