Lazarus di Bowie raccontato da Malosti e Agnelli

Manuel Agnelli è protagonista dell’ipnotico viaggio intergalattico di Bowie alla ricerca di se stessi. Un viaggio galattico “Lazarus”, ma anche molto di più. Non un musical ma un “teatro musicale”, un sequel de L’uomo che cadde sulla Terra, un testamento creativo, una riflessione metafisica. Nel lavoro ideato e voluto da Bowie, in collaborazione con l’artista Enda Walsh, lo spettatore non deve cercare di trovare una trama, ma lasciarsi coinvolgere dalle musiche e dal mondo emozionale, come ha suggerito il regista Valter Malosti durante l’incontro tenutosi al teatro Galli.

«Ci sono più linee che si intrecciano – spiega Malosti – una legata al corpo e quella musicale. C’è una band dal vivo, i cui interventi sono stati scritti come parte integrante dello spettacolo. Non è un semplice accompagnamento, come Manuel non è un semplice cantante. “Lazarus” – che si riferisce sia al personaggio biblico, sia al gioco di parole “lazar-us” ovvero “noi siamo Lazzaro” – è un rebus in cui si legano più piani temporali, più livelli narrativi e tante figure diverse. Molti hanno definito l’opera “distopica”, io penso non ci sia niente di più distopico di una persona che muoia. Ho voluto ricreare questo momento e ho cercato di farlo nei termini più poetici possibili».

Al centro di questa labirintica pièce, infatti, troviamo Newton, malinconico migrante interstellare costretto a rimanere sulla Terra, interpretato dal talentuoso Manuel Agnelli, per la prima volta in veste di attore. Dalla visione dello spettacolo si percepisce l’animo tormentato, arreso a quell’esistenza che ormai procede vuota, per inerzia, ma allo stesso tempo smanioso di poter fuggire da quell’appartamento caotico e infestato dalle proiezioni mentali di un uomo alcolizzato, infelice e solo.

«Prendere parte a quest’opera è stato difficile – commenta Agnelli – ma più naturale di quanto pensassi. I temi sono comuni a tutti: la morte, la lontananza, l’amore e la perdita di esso. Bowie compie una scrittura malinconica, voleva fare un’opera emozionale e io ne sono una parte. C’è stato uno scambio reciproco tra la mia persona e il personaggio, che ha trovato posto in me».

Sia il regista che il cantautore sottolineano come “Lazarus” non sia un musical vero e proprio. Spiega Agnelli, con una vena ironica: «Canto sì, ma non imito. Non stiamo facendo karaoke, stiamo interpretando un copione. A chi mi chiede se suono, non suono. Ci sono sette ottimi musicisti per quello. Io non sono Manuel Agnelli. Io interpreto Newton, personaggio che non deve girare per il palco con la chitarra in mano. Quando canto sono sempre Newton che si esprime in un modo diverso dal parlato. Faccio tutto quello che farebbe il personaggio».

Malosti descrive così la nascita del progetto: «Sembra una scommessa vinta in partenza, Agnelli che canta Bowie, ho vinto. In realtà è stato il contrario. Ci ho messo quasi otto anni per portare in scena questo progetto. Manuel è stata la prima persona che ho chiamato e, fortunatamente, ha accettato subito. Mi incantava vedere una figura rock come il cantante degli Afterhours nei panni di un alter ego di Bowie. Non ho sentito il “peso” dei nomi. È come ricevere una partitura, la leggi, la esegui e cogli la gioia dell’opportunità».

Agnelli conclude: «Spero che l’esperienza del teatro continui, mi fa bene e mi fa crescere. All’inizio ero nervoso, non avevo i trucchi che uso per i live, ma ho capito che questa inquietudine era data dalla performance stessa, non dal pubblico».

Da segnalare l’originale messa in scena e la resa visiva dell’opera, arricchita da elementi multimediali e tecnologici di grande impatto visivo. Agnelli suonerà il 18 luglio alla Corte degli Agostiniani per “Percuotere la mente”. E questa volta sarà Manuel Agnelli!

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