La recensione: "Odradek" di Menoventi al Ravenna Festival

Non è affatto facile imbattersi in spettacoli capaci di parlare praticamente in diretta del nostro tempo, facendolo tra l’altro da dentro l’anima oscura del tempo stesso. Ma con Odradek – visto in prima assoluta al Ravenna festival gli scorsi 15 e 16 giugno – i faentini Menoventi fanno esattamente questo, ci calano nel qui e ora di un mondo in cui, con buona evidenza, molte cose ci stanno sfuggendo di mano, a partire dalla tecnologia, ormai talmente avanzata e complessa da rendere antiquato l’uomo e antiquate le sue facoltà tra immaginare e produrre, tra sentire e agire, tra coscienza e conoscenza.

Odradek è una ditta di consegne totale, in grado di fare avere gli articoli desiderati ancor prima di averne bisogno o credere di averne. M (Consuelo Battiston), una donna abitudinaria e dall’aria rassegnata, si affida a Odradek per tutto, cena, suppellettili, oggetti, in un consumismo onnivoro e alienante immediatamente soddisfatto dalle consegne del corriere (ultra)espresso di Odradek, Q (Francesco Pennacchia).

L’ambiente in cui si svolge l’azione – l’appartamento di M – è allo stesso tempo banale e misterioso, presto è evidente che, nella realtà di Odradek, la reificazione dell’uomo ha trasformato le cose in soggetti dotati di autocoscienza. Il divano, ad esempio, prende davvero alla lettera la funzione di “accoglienza”, mentre l’impianto elettrico sembra dapprima voler comunicare messaggi e avvertimenti, finché una lampada (con la voce di Chiara Lagani) inizia addirittura a parlare, perorando la propria insostituibilità in questo mondo di obsolescenza programmata al secondo. Intanto M e Q hanno finito per diventare intimi, quando la migliore amica di M, A (in realtà un programma vocale), le ha consigliato di ordinare a Odradek un uomo, uomo che, all’interno dello scatolone, si rivelerà lo stesso Q autoconsegnatosi con un mirabile trucco da classico spettacolo di magia (e di trucchi ce ne sono tanti, e molto romantici, in Odradek). Con uno schema caro ai Menoventi, i personaggi mettono in atto una reiterazione di scene e dialoghi, per donare alla narrazione il potere dell’instabilità, tramite un puntuale lavoro di (auto)ironia, di tecnica scenografica e puro approccio ludico. Da tutto ciò traspaiono le ispirazioni dei fondatori della compagnia, la stessa Battiston e Gianni Farina, per questo lavoro: Kafka, per l’atmosfera simultaneamente surreale e realissima; Tommaso Landolfi, nella fattispecie il racconto La penna, in cui gli oggetti diventano vivi, pensanti, coscienti, e si oppongono al protagonista; il filosofo tedesco Günther Anders, uno dei pensatori che con più rigore e tenacia ha pensato la condizione dell’umanità nell’epoca degli armamenti di distruzione di massa e che riteneva che «il mondo come macchina è la condizione verso cui stiamo andando». Poi lo scrittore e poeta Hans Magnus Enzensberger, recentemente scomparso, la cui ironia e sarcasmo sono da sempre un faro per i Menoventi.

E c’è spazio anche per una citazione da Majakovskij, sul quale la compagnia ha recentemente lavorato (Il defunto odiava i pettegolezzi, 2021). Figlio dunque del genio lucido, ironico e sfaccettato di Farina e Battiston, Odradek emerge come un instant classic, uno spettacolo in cui la padronanza della parola per descrivere il mondo, il sarcasmo, il gusto di disvelare gli aspetti celati e paradossali delle cose e degli uomini sono magistralmente resi.

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