La raccolta dello zafferano, il tesoro della Val Marecchia

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Un anno di lavoro, una sola fioritura autunnale che è un’ esplosione di colore e bellezza. Lo zafferano ha conquistato le colline dell’alta Val Marecchia e adesso è il momento cruciale della raccolta. Il fiore del crocus sativus ama le altitudini appenniniche, i terreni pendenti che non trattengono troppa acqua, anzi la lasciano scivolare via, non ha paura del freddo e nemmeno della neve e infatti aspetta l’autunno per sbocciare. Da queste parti il croco cresce anche spontaneamente, ma in genere è quello dai petali di colore giallo, oppure è “falso zafferano”, bello ugualmente nella corolla solo che, la natura ama spesso farsi beffe dell’uomo coltivatore, non ha i pistilli. Per avere i preziosi stimmi che diventano spezia, serve la mano dell’uomo che pianti i bulbi giusti. Valore del prodotto finale essiccato: mediamente 30mila euro al chilo. Ma qui si parla di produzioni da 100, massimo 200 grammi all’anno. Anche perché si ragiona appunto in termini di... pistilli, e ogni fiore ne produce tre. Servono centocinquanta fiori per avere 450 stimmi che all’incirca fanno un grammo di spezia. Lo zafferano e questa valle hanno intrecciato le storie di alcuni giovani che pur avendo altri mestieri hanno voluto dedicare un po’ del loro tempo e della loro vita alla terra, di famiglia, in affitto, acquistata, generalmente incolta da anni.

Zafferano di Pennabilli

Nicola Pula fa il tecnico controllo qualità in una azienda meccanica. Però è cresciuto in una famiglia di apicoltori, è apicoltore lui stesso, e i nonni avevano terreni a Ca’ Berbece, quattro case cinte dai boschi e qualche campo in pendenza con vista sulle due punte di Pennabilli. Lui ne ha ripulito un ettaro dalle sterpaglie, e ha piantato i suoi primi bulbi nel 2014. Da metà ottobre si china sulle file di fiori violetti e li stacca delicatamente uno alla volta, «senza strappare perché così il giorno dopo ci sarà un altra buttata di nuovi fiori». Si comincia abbastanza presto al mattino per preservarli dall’umidità, «vanno raccolti asciutti e quindi se sono ancora un po’ chiusi va bene». Nicola li conta uno ad uno tenendo il conto sul telefonino e riempie il cesto. In sei anni i bulbi si sono moltiplicati, così anche i fiori. I bulbi a dimora oggi sono circa 12mila e fino a metà novembre regaleranno circa 1000/1200 fiori al giorno che alla fine dovrebbero superare quota 24mila. «Quest’anno dovrei arrivare a due etti di zafferano», sorride Nicola. Raccogliendo fiori in una mattina d’ottobre con il vento che sferza il viso e le mani, ci racconta quanto lavoro comporti quel leggerissimo raccolto. Raccolto che passa anche dalla difesa dei bulbi, insidiati più che altro dai topi che ne vanno ghiotti e che per arrivarci sfruttano le gallerie scavate dalle talpe. In superficie invece altri animali ne sciuperebbero i fiori, tassi, istrici, una fauna tenuta a distanza con una semplice rete e tanta pazienza. Per il resto se la pianta fa tutto da sé, anche l’uomo può lavorare solo con le proprie mani. Per la raccolta fra ottobre e novembre, ma poi i pistilli vanno tolti uno ad uno e fatti essiccare, quindi messi in vasetto di vetro «dove devono maturare almeno un mesetto, altrimenti la spezia è troppo dolce». Poi, quando la pianta avrà finito di vegetare la primavera successiva, mantenuta libera strappando a mano le erbe infestanti intorno, si potrà procedere a luglio all’espianto dei bulbi, nel frattempo moltiplicati, per poi separarli, controllarli e ripiantarne una parte ad agosto. «Da 12mila bulbi iniziali ne ricaverò 50mila – spiega Nicola –. La produzione di bulbi è esagerata». Pula si è concentrato sulla spezia, che, conservata al buio in vetro poterebbe durare anche anni, ovviamente per legge va indicata la scadenza (un paio d’anni). Lo “Zafferano di Pennabilli” viene venduto direttamente, alcuni ristoranti locali lo hanno inserito in menù, ad esempio La Grotta di Pietracuta o l’osteria Madamadorè a Novafeltria.

Sara, l’addio alla città per la collina e l' “oro rosso”. Sara Maestrello è stata probabilmente la prima a partire. In alta Val Marecchia c’è «arrivata per caso» nel 2012. «Sono partita da Milano, dove facevo l’architetto, dieci anni fa con il mio ex compagno – racconta lei stessa –.Volevamo lasciare la città esasperati dalla vita urbana e provare a vivere in campagna. Così avevo cominciato a fare ricerche sul centro Italia guardando le aste dei tribunali alla ricerca di un terreno a prezzo basso. Trovammo un appezzamento in questa zona della Romagna e venimmo a vedere allettati proprio dal costo, poi ci siamo innamorati del posto. Abbiamo partecipato all’asta e abbiamo vinto. Avevamo un progetto forse troppo ambizioso e anche costoso di agriturismo restaurando i ruderi che sono presenti sul terreno ma qui ci siamo arenati, e inoltre la coppia non ha funzionato. Qua sono rimasta solo io perché a me continuava a piacere e non sarei mai stata in grado tornare a vivere in città». Di lì a poco sono cominciate però le sperimentazioni di Sara sullo zafferano. «Facevo spola fra qua e la biblioteca agraria di Milano dove avevo un contatto che mi suggeriva testi interessanti –racconta Sara Maestrello –. È stato un amico a consigliarmi questa coltura. La zona era adatta, anche se oggi lo zafferano è coltivato un po’ in tutta Italia e non più solo in Abruzzo, Toscana e Sardegna. Però in realtà, anche è una specie molto rustica, non può essere coltivato ovunque: serve un limite massimo di piovosità e di neve in inverno, una certa inclinazione e drenabilità del terreno. Il mio è molto argilloso, in pendenza, non ho possibilità di irrigazione delle piante. Ho fatto delle prove e sono andate bene, le piante riescono a vivere da sole tutto l’anno». I primi bulbi sono stati calati in campo nel 2014, l’azienda agricola che etichetta lo “Zafferano Valmarecchia” esiste formalmente dal 2015. «Mediamente produco un etto di zafferano all'anno, alcuni anni un po’ di più e altri di meno. Nell'arco di quattro anni l produzione cresce poi decresce e sarebbe meglio cambiare terreno al terzo anno. Per ora di cambi terreno ne ho fatti due». Una lavorazione che va fatta tutta a mano, in ogni fase, e trovare la manodopera non è sempre facile, Sara ha trovato un sistema. «In questa stagione molti stranieri sono in vacanza e viaggiano in Italia, appoggiandomi ad alcune reti che sostengono questo turismo li accolgo e loro mi aiutano nella raccolta che di solito si protrae fino a metà novembre».
INFO: zafferanovalmarecchia.bio@gmail.com

Lo "Zafferano di Giancarlo" dei fratelli Nicola e Giulio Corazza. Nicola Corazza di mestiere è un ingegnere gestionale, ma dal 2015 pianta e raccoglie zafferano a Moleto di Soanne un altro piccolo borgo di case in pietra non lontano da Pennabilli. Lo fa un po’ per sfida, «qua ho sempre visto piantare solo grano o foraggio», e poi per ricordare il padre a cui ha dedicato il frutto della sua fatica: “Lo zafferano di Giancarlo”. Lo fa insieme al fratello Giulio, che vive e lavora in Spagna, ma a ottobre tona casa, b nelle campagne degli zii dove entrambi sono cresciuti, per la raccolta dei fiori. «Lavoravo in una multinazionale a Bologna, oggi faccio ancora il mio lavoro come consulente, e qualche anno fa ho sentito il bisogno di avvicinarmi un po’ di più alla terra», racconta Nicola Corazza. «A Soanne gli zii hanno la loro terra e, per per rompere un po’ gli schemi mi sono detto: qual è la coltura più redditizia al mondo? Lo zafferano! E allora ho riattivato gli appezzamenti più piccoli, ad esempio quello che era l’orto di mio nonno dove lui teneva le fragole, e ho piantato i primi bulbi». Venendo da un mondo del lavoro distante, anche lui ha studiato la nuova materia: «La zona di Soanne è molto simile alle terre dello zafferano, come l’Abruzzo. Lo è altitudine m anche per lo scheletro del terreno, argilloso, con presenza di sassi e pietre, ben drenato. Lo zafferano soffre i ristagni idrici». Nicola Corazza è partito con 500 bulbi e oggi ne ha circa 20mila. «Lo zafferano è un capitale che si rigenera da solo –spiega –. Nel suo ciclo di vita si riproduce moltiplicando le famiglie di bulbi fino a che questi comincerebbero a eliminarsi a vicenda, motivo per cui serve l’espianto, se possibile anche ogni anno. Ora che il mio impianto ha dimensioni più importanti intensificherò la vendita dei bulbi rispetto alla spezia, perché se dovessi ripiantarli tutti dovrei avere a disposizione spazi immensi e soprattutto tanta manodopera. A mano, andando svelti, due persone tolgono gli stimmi a 1400 fiori in un’ora e mezza, ma c’è anche tutto il lavoro precedente». Con ventimila fiori attesi da questa raccolta, il prodotto finale potrebbe quest’anno superare i due etti.
INFO: @biosoanne su Instagram

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