La guerra, le incursioni nemiche, la crisi economica e il terremoto

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Il 24 maggio 1915, dieci mesi dopo l’inizio delle ostilità belliche, l’Italia entra nella grande conflagrazione europea a fianco dell’Intesa (Francia, Inghilterra e Russia) contro gli Imperi centrali (Austria e Germania) e la popolazione è chiamata ad affrontare la sciagura con patriottismo e senso del dovere. La lotta armata, contrariamente alle aspettative, imbocca la strada di una lunga e snervante guerra di posizione e provoca nel Paese una infinità di disagi, di privazioni e di dolore.

Riccione trascorre questo infausto periodo in uno stato di profonda depressione economica. L’interruzione dell’industria balneare, che nelle ultime stagioni aveva registrato un aumento notevole di fatturato, priva del sostentamento tanti borghigiani e le severe disposizioni governative sulla pesca, che impediscono il regolare svolgersi di questa attività oltre i 500 metri dalla costa, mettono in seria difficoltà una settantina di famiglie. La crisi dell’agricoltura, inoltre, fa salire vertiginosamente i prezzi dei generi di prima necessità con il conseguente razionamento della farina e del pane e il piccolo commercio di paese è letteralmente scomparso. Una situazione preoccupante e di estrema inquietudine.

Ad aggravare ulteriormente la congiuntura della frazione rivierasca intervengono anche altre sofferenze: la paura delle incursioni nemiche, il terremoto, l’arrivo dei profughi veneti e la pandemia di “Spagnola”. Soffermiamoci sui primi due casi.

Gli austriaci, fin dal primo giorno delle ostilità, si accaniscono a bombardare Rimini dal mare e dal cielo e Riccione, che teme i raid aerei e navali anche sul suo territorio, entra in uno stato di forte apprensione. Tra gli obiettivi strategici dei nemici, infatti, c’è la linea ferrata che dal Sud trasporta in continuazione verso il Nord truppe e materiale militare. Fortunatamente per la borgata – che ha il binario ferroviario tra il paese e la marina – gli attacchi scellerati degli austroungarici si limitano, anche se con scarsi risultati, al capoluogo; ma la percezione del pericolo che colpisce la popolazione perdura per mesi.

Mentre si respira questo clima di angoscioso nervosismo arriva il terremoto e la frazione sprofonda nel più avvilente sconforto. Una prima vibrazione sismica si avverte il pomeriggio del 17 maggio 1916. La gente, spaventata, si riversa fuori casa: per strada, nei campi e sulla spiaggia. Il 15 e il 16 agosto giungono nuove e più violenti scosse telluriche, che registrano alcuni feriti e ingenti danni agli edifici. Il Corriere Riminese per quantificare le proporzioni della calamità il 27 agosto 1916 scrive: «Si può affermare che in paese non vi è fabbricato che non abbia sofferto». Per dare rifugio ai sinistrati vengono innalzate tende da campo e predisposte cucine all’aperto per il desco quotidiano. Diverse famiglie trovano ospitalità nei “bassi” delle ville vuote del litorale. Seriamente danneggiati sono l’Ospedale, l’Asilo d’infanzia Ceccarini, l’Ospizio marino Amati-Martinelli, l’Hotel des Bains, l’antica chiesa di San Lorenzo, le torri delle Fontanelle e della Trinità, il palazzo Graziani, la villa Pullè e buona parte delle abitazioni del paese.

In questo toccante frangente l’opera del benemerito corpo dei pompieri di Rimini guidato dal comandante Elia Testa è ammirevole. «Senza risparmiarsi – riferiscono i giornali dell’epoca – corrono da tutte le parti ove è segnalata la necessità» dividendosi «in cento, in mille per portare soccorsi». La testimonianza di questo rischioso altruismo è documentata dal Corriere Riminese: «Subito dopo il disastro, squadre formate da guardie-pompieri, soldati-pompieri e di rinforzo con i carri attrezzi di primo soccorso e con le scale aeree, al comando dell’Ispettore Testa, che in questa come in cento altre occasioni ha dato prova luminosa di coraggio, sangue freddo, abnegazione, abilità nei comandi e nella direzione, si diressero su tutti i punti maggiormente danneggiati. Dal giorno del disastro a tutt’oggi le dette squadre hanno compiuto un lavoro ammirevole di soccorso non risparmiando la loro attività in lavori lunghi ed a volte molto pericolosi. Vennero eseguiti numerosi abbattimenti di muri pericolanti, di cornicioni e di camini minacciati di cadere sulle vie e nelle piazze, sistemazioni di parti crollate che potevano danneggiare altri stabili, ricupero di masserizie e di suppellettili dalle macerie, sgombro completo di molte case resesi inabitabili perché pericolanti, sgombro e demolizione di tetti e di soffitti, rimozione di macerie dai tetti e dagli interni, sistemazioni di parti di tetto pericolante. Chi ha seguito l’opera di questi bravi ed arditi pompieri ha potuto apprezzarli ed ammirarli...» (Corriere Riminese, 27 agosto 1916). Insomma, un’encomiabile gara di solidarietà che indurrà il Municipio a conferire «una medaglia ricordo alle squadre pompieri accorse a prestare servizio in occasione del terremoto (...) come testimonianza della imperitura gratitudine riminese» (cfr. Verbale della Giunta Comunale di Rimini, seduta dell’ 8 maggio 1917).

Momenti terribili accettati dai riccionesi con dignitosa compostezza e senso di fratellanza. L’Asilo d’infanzia Ceccarini sarà demolito e ricostruito; la chiesa di San Lorenzo in Strada sarà riedificata ex novo su disegno dell’architetto bolognese Giuseppe Gualandi e inaugurata il 26 agosto 1923; sulle rovine dell’Ospizio marino Amati-Martinelli sorgerà il Grand Hotel.

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