In giorni di afflizione e fatiche post alluvione, una carica positiva arriva dalla cesenate Maria Irene Salvi, 31 anni, ballerina che vive a Londra dove danza e insegna. È ancora galvanizzata dopo aver danzato all’Eurovision di Liverpool, in diretta televisiva, unica italiana di un selezionatissimo corpo di ballo. Ai tempi della pandemia l’avevamo sentita mesta e preoccupata, timorosa sulla possibilità di danzare ancora. Oggi ritroviamo Irene esaltata dopo il lungo lavoro dell’Eurovision, ma sempre fortemente legata alla sua famiglia e alla sua città.
«In questo momento i miei pensieri sono con Cesena; forza Cesena, forza Romagna». È questa la terra dove tutto è cominciato; prima la scuola danza cesenate di Carole Watson, il liceo scientifico Righi dove si è diplomata, prima di volare a Londra forte solo di qualche suggerimento della sua maestra inglese, ma con pochi riferimenti. Quasi un salto nel buio per lei, inseguendo il sogno non di scarpette in punta, ma di crew sul modello degli Mtv che da bambina seguiva in tivù. Studi in modern dance, hip hop, street jazz, coreografia, teatro, sfiancanti provini, tanti no senza mollare, derisa agli inizi dai colleghi per l’accento poco inglese, ma sempre ferma sull’obiettivo.
Irene, dopo i Brit Awards (gli Mtv britannici) di qualche anno fa nel Millennium Dome di Londra, ha ballato all’Eurovision nella città dei Fab Four, quali differenze?
«Per me è un sogno quando riesco a esibirmi davanti a una platea mondiale dove a guardarmi ci sono anche gli amici e la mia famiglia. L’
Eurovision mi ha dato questa possibilità, rispetto ai Brit Awards che non erano trasmessi in diretta. È stato un evento che mi ha resa orgogliosa anche come italiana, perché in gara c’era
Marco Mengoni, artista che stimo e che ho abbracciato in corridoio prima di entrare sul palco. Con Mengoni avevo ballato in Italia nel 2021 nel programma
Da grande di Cattelan. Ho parlato anche con Mahmood, per me una rara occasione di incontrare artisti italiani».
Racconti come è avvenuta la partecipazione a questo contest internazionale, fatto in Inghilterra per l’Ucraina.
«Dopo una prima chiamata a cui ci siamo candidati in un migliaio, ne hanno scelti tre o quattrocento. Ci hanno convocati in marzo per un provino estenuante e selettivo, durato dalle 10 del mattino alle sei di sera, una prova di resistenza fisica e di nervi. Siamo rimasti una cinquantina da cui hanno tratto i 24 ballerini dell’Eurovision; dopo giorni di apprensione per l’attesa, mi hanno convocata nel corpo di ballo degli ospiti e dei diversi momenti di show (non dei cantanti in gara); il 3 aprile abbiamo iniziato a provare le coreografie del canadese Lukas McFarlane, un lavoro intenso e lungo. Complessivamente abbiamo fatto 9 spettacoli davanti a un pubblico pagante, anche se non tutti passati in tivù».
Che dire invece delle coreografie?
«Amo il coreografo
Mc Farlane molto bravo e capace di spaziare in tanti generi. Abbiamo ballato per Tina Karol famosa in Ucraina, per Rita Ora abbiamo eseguito il balletto per me più bello, e addirittura abbiamo suonato i tamburi per Sam Ryder durante la sua
I’m a mountain, con lui suonava pure il batterista dei Queen Roger Taylor, mentre nella performance hanno danzato anche ballerini disabili. Tutti gli artisti sono stati generosi e grati verso di noi, dimostrando umanità. È stato davvero un
Eurovision che ha celebrato l’unione dei popoli nella musica, non a caso il motto era “united by music” (uniti dalla musica). Un’esperienza davvero unica, grazie pure alla direzione artistica eccellente di Dan Shipton».
Che tipo di danza avete espresso?
«Abbiamo spaziato dall’hip hop alla contemporanea, alla danza sui tacchi in cui sono specializzata pure come insegnante (Stiletto heels), abbiamo avuto una lezione di percussioni– conclude –. Nel cast ero l’unica italiana, sono pochi gli italiani in questo genere di danza; dopo la Brexit inoltre, occorre un visto per lavorare a Londra, io qui vivo da 12 anni e sono residente. Quando torno in Italia non ho più a disposizione il medico di base, ma tanto provengo da una famiglia di medici».