La Cantina Franco Galli, una famiglia aal lavoro per il vino

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I filari per la Rebola, proprio intorno a casa, la cantina di fronte all’abitazione, e nella stessa cantina, padre e figlio al lavoro. “Dove la vigna è di casa” è il motto aziendale della Cantina Franco Galli, e tutto conferma che non è solo la trovata di un pubblicitario. L’inizio di questa storia aziendale risale ai primi del Novecento quando il nonno dell’attuale titolare, Antonio, cominciò, giovane, a piantare la vite e a produrre il vino per la famiglia e per i primi acquirenti. Attività passata al figlio Elio e poi a Franco che oggi lavora fianco a fianco con il proprio figlio Riccardo, fresco di laurea in enologia a Trento. Franco con soddisfazione paterna lascia parlare il giovane a cui certamente sente di avere trasmesso un po’ della propria passione, che Riccardo ha poi affinato con lo studio.

Vigne e cantina

Il vigneto dei Galli si estende per una decina di ettari e comprende i filari di grechetto gentile per la Rebola in parte intorno a casa, «siamo stati fra i primi a riprendere a imbottigliare Rebola nel 1998, ancor prima che ottenesse la Doc» dice orgoglioso Franco, poi diverse altre uve bianche come pagadebit, trebbiano, biancame e una rara e recuperata vernaccina riminese, oltre ovviamente alle uve rosse sangiovese, cabernet sauvignon e merlot concentrate in località Santa Maria del Monte a Saludecio, a pochi chilometri di distanza. Vengono inoltre acquistate uve , per 20/30 quintali, da alcuni produttori dello stesso territorio circostante per arrivare a una produzione annua che varia dalle 40 alle 60mila bottiglie. La vinificazione dei bianchi avviene prevalentemente in acciaio a temperatura controllata, mentre per i rossi sono state restaurate anche alcune botti in cemento, «materiale che consente una bellissima micro ossigenazione», sottolinea Riccardo Galli. È presente anche una barricaia per gli affinamenti in legno.

I vini, soprattutto bianchi

La scelta aziendale è quella di limitare al massimo i blend e vinificare invece in purezza per evidenziare la tipicità di ogni vitigno. Una quindicina le etichette prodotte, di cui otto tutti gli anni e le altre solo in certe annate. I bianchi sono il cavallo di battaglia e la Rebola, per la quale si uniscono le uve raccolte in pianura attorno a casa e quelle collinari della vigna di Saludecio, qui conosce ben tre versioni: Leàl che passa solo in acciaio, una che sosta in barrique e una terza versione passito, Fidatidime, solo per le annate migliori. La versione passito, della quale ora è in commercio l’annata 2013, presenta un colore scuro e stupisce per la freschezza ancora presente, e un sorso che sa di cotogne, carrube e mallo, insieme a una nota di miele di castagno, per nulla stucchevole. «Per ottenerla usiamo il vecchio sistema dell’appassimento sui graticci – spiega Franco Galli –, sui quali mettiamo ad appassire i grappoli migliori. Li poggiamo già durante la raccolta, poi li lasciamo appassire all’ombra della cantina. Una volta pigiate, le uve fermentano in tonneau e dopo una sosta in legno di un anno e mezzo, passano almeno altri due anni in bottiglia. un altro bianco di cui in cantina sono molto fieri è la vernaccina riminese “Dimenticato”. «In azienda ne piantammo mezzo ettaro sei anni fa, come sperimentazione, insieme al Crpv, per il recupero di questa varietà riminese quasi scomparsa perché produce poco e che perciò negli anni Ottanta venne di fatto completamente espiantata –spiegano Franco e Riccardo Galli –. Da tre anni la vinifichiamo, prima solo in acciaio ora anche in cemento, con una breve macerazione sulle bucce». Un sorso insolito, per sole 2000 bottiglie.

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