La brigata del mitico Trigabolo torna in cucina per una notte

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Questa volta e mai più. La storica brigata si riunirà il 23 giugno, quarant’anni dopo. I talenti di allora riallacceranno i grembiuli all’unisono e per una notte riaccenderanno l’impianto stereo in cucina, le casse spareranno ancora una volta le note dei Pink Floyd, mentre loro lavoreranno di nuovo insieme. Il Trigabolo di Argenta rivive. «Lo facciamo per beneficenza, a favore dello Ior, e non vogliamo che diventi un amarcord. Perciò dopo questa volta, davvero, il gruppo non cucinerà mai più assieme per il resto del tempo», spiega Igles Corelli. Lui, chef giovanissimo di quella leggendaria brigata, questa cena l’aveva in animo da prima del Covid. È toccato attendere, ma il 23 giugno finalmente si consumerà all’Hotel Da Vinci di Cesenatico (costo 200 euro a testa, le iscrizioni sono aperte: https://bit.ly/ReunionTrigabolo23), 400 i commensali che verranno accolti. Poi la mattina dopo la stessa brigata partirà in pulmino alla volta di Argenta, perché il sindaco poserà una targa sul muro di quello che fu il loro ristorante, la loro scuola, la loro casa.

Una band in cucina

In pulmino come quando ai tempi del futuro ancora tutto davanti, partivano in gruppo sul Volkswagen azzurro con al volante Igles, “il vecchio”, che aveva 22 anni ed era l’unico maggiorenne che potesse guidare. Nei sedili dietro tutti gli altri: Bruno Barbieri, Mauro Gualandi, Piero Di Diego, Marcello Leoni, Sandro Trioschi, Italo Bassi (l’unico in forse perché ora vive e lavora a Sidney), l’unica donna Elga Cavallini. «Guidavo io perché gli altri erano tutti minorenni. Andavamo ai concerti di David Bowie, Duran Duran, ma soprattutto dei Pink Floyd, dove loro erano noi andavano e in cucina per tutto il tempo del lavoro, fino a che non iniziava il servizio, la loro musica la tenevamo a manetta». Nel locale di cui Giacinto Rossetti fu patron, erano loro, una manciata di ragazzi e un peso specifico illimitato di talento, che in quegli anni Ottanta scrivevano la rivoluzione della cucina italiana vivendo quella stagione come una rock band. «Le ricette nascevano durante quei nostri viaggi a concerti – racconta Igles Corelli – a forza di salame e tequila... Tutti chef che difficilmente, per il grande talento, oggi starebbero in una brigata in cui usciva un nome solo, che allora era il mio, ma noi eravamo una famiglia, o meglio amici veri. E con noi i ragazzi della sala, Marco Merighi, Bruno Biolcati, Flavio Errani, e il patron Giacinto Rossetti, in tutto eravamo una dozzina di elementi che hanno vissuto insieme per 14 anni. Un po’ come il clan di Celentano, ma prima che Celentano tradisse Don Backy...».

La leggenda

Quello era il nucleo originario di talentuosi che poi si sono distinti e tuttora continuano a farlo nel mondo della ristorazione o del vino. Ma dalla cucina storica di Argenta, sempre sotto la guida di Igles, di chef anche stellati ne sono usciti addirittura una ventina. Occhiali colorati, sempre di un colore diverso, sorriso e battuta sempre pronta, le stelle Michelin tatuate sull’avambraccio destro, Corelli nella Bassa ferrarese, fra le anse del Delta e Argenta, ci è nato e negli anni Ottanta, e fino al 1993, assieme a Giacinto Rossetti ci attirò le guide e il mondo di chi amava l’alta cucina e la sperimentazione. Il Trigabolo mieteva punteggi al limite della lode sulle Guide Espresso e Gambero Rosso, aveva conquistato due stelle Michelin. Aveva una carta dei vini con 2000 referenze e non ce ne erano molti altri. In quel decennio in cui si scriveva la storia della cucina italiana, c’erano Marchesi, Vissani e c’era Corelli con il Trigabolo. Tutto finì quando la terza stella stava per arrivare, i tempi cambiavano di nuovo.

I piatti storici

Il 23 giugno a Cesenatico i posti disponibili saranno 400. «Speriamo che venga anche Alberto Tomba – commenta lo chef –, quando scendeva lui la cucina si bloccava, era un idolo per noi, il lavoro riprendeva solo dopo che lui aveva fatto la sua gara». Come gli aneddoti anche i sapori dei piatti di allora sono scolpiti nella memoria di chi passò al Trigabolo. E il menù sarà composto da quattro portate che sintetizzano quello stile che, per dirla ancora con Corelli, «segnò il passaggio dalla cucina italiana barocca alla cucina di sintesi e del prodotto». Per cominciare il budino di cipolla, in salsa di fegato grasso, zenzero e coriandolo; medaglie di faraona, zabaione di Parmigiano Reggiano e culatello di Brozzi croccante, quindi il germano reale ripieno di anguilla in salsa peperata e morbido di sedano rapa («un’idea legata a mio nonno bracconiere per vivere perché ai suoi tempi serviva la tessera fascista per lavorare e lui non la volle mai, cosi pescava e cacciava e io ho sempre sentito in casa questi due sapori »). Per chiudere i bignè fritti caramellati in salsa di agrumi. «Questi piatti oggi sono ancora moderni, ma non avrebbero la stessa forza dirompente di allora. Oggi accostamenti di questo tipo sono più usuali – dice Corelli con la sua consueta franchezza –. Anche se secondo me in questo momento non c'è un ristorante di grande rottura, paragonabile a quello che fu il Trigabolo allora. Oggi c’è poca manualità e molte fotocopie. Allora era tutto farina del nostro sacco, oggi anche i grandi ristoranti copiano e guardano tutti molto, troppo, alla cucina asiatica».

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