L'“inutile strage” nelle cronache del settimanale “L'Ausa”

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1914. Allo scoppio del conflitto europeo i cattolici riminesi si schierano a favore della neutralità collocandosi, di conseguenza, a fianco dei loro tradizionali avversari, i socialisti; tuttavia, per evitare sgradite contaminazioni, rimarcano a ogni piè sospinto i motivi del loro disaccordo. «Anziché imitare i sovversivi - affermano il primo agosto 1914 dalle colonne de L'Ausa espressione cartacea del loro pensiero - che nella previsione della guerra già preparano il proletariato italiano alla rivolta contro lo Stato, preghiamo fervidamente il Signore che allontani da noi, dall'Europa intera, un così terribile disastro e richiami le nazioni sul sentiero dell'amore e della pace». Il neutralismo dei cattolici - stando agli articoli di fondo del loro periodico - percorre il «sentiero dell'amore», quello dei socialisti, invece, la «rivolta contro lo Stato».

Col passare dei giorni e l'incalzare degli eventi, L'Ausa delinea meglio la sua contrarietà alla lotta armata, che non è assoluta e ad ogni costo come quella dei loro occasionali compagni di viaggio. «I credenti», leggiamo sul settimanale il 26 settembre, potrebbero anche accettarla la guerra «il giorno che l'Italia - non per le infatuazioni democratiche-massoniche-nazionaliste, ma per la necessaria difesa del suo territorio e de' suoi vitali interessi - fosse costretta ad impugnare le armi». Naturalmente - aggiunge il giornale - «speriamo che quel giorno sia lontano, anzi non venga mai». Su queste stesse argomentazioni il periodico torna il 17 ottobre: «dove la dignità e il diritto della Patria lo rendessero inevitabile, i giovani cattolici sapranno ancora e sempre compiere diligentemente il loro dovere civile».

Il neutralismo de L'Ausa rispecchia le direttive di papa Benedetto XV - salito al pontificato nel settembre del 1914 in seguito alla morte di Pio X - che imperterrito e inascoltato continua a invitare i belligeranti a porre fine all'«orrenda carneficina che disonora l'uomo». L'avversità alla guerra persiste anche quando il vocio sempre più persuasivo degli interventisti inizia a far presa sui cattolici. Il 5 dicembre, per esempio, il giornale della diocesi riminese ridicolizza il fanatismo “guerrafondaio” di Benito Mussolini: un personaggio - scrive - degno solo del massimo disprezzo e da trattare alla stregua di «un ciarlatano ambizioso» e di «un arrivista qualunque».

Con l'inizio delle ostilità da parte dell'Italia, a fianco dell'“Intesa” e contro gli “Imperi centrali”, L'Ausa affievolisce le sue posizioni neutraliste. «Mentre lo Stato pensa e provvede alla mobilitazione militare - annuncia il 19 giugno 1915 - noi dobbiamo mobilitare tutte le energie della nazione, perché i combattenti e le loro famiglie non abbiano ad avere l'animo distolto da quello che deve essere il nostro unico fine: la vittoria». E ancora: «Se un tributo di sangue vuole la patria, sia questo il pegno di una gloria immensamente più fulgida in una patria migliore». Parole nobili e generose, queste, che tuttavia non sempre riflettono la linea editoriale della testata, che si mantiene piuttosto “tiepida” nell'appoggiare lo sforzo militare italiano.

La guerra, nel frattempo, impone grossi sacrifici al Paese e tutti sono chiamati a versare il proprio contributo di sofferenza e di privazione. Anche la stampa non si sottrae alla delicata congiuntura socioeconomica che attraversa la nazione: per disposizioni prefettizie L'Ausa - insieme con il liberale Corriere di Rimini, e il radicale Il Momento -, dal 19 giugno 1915 al 12 febbraio 1916, esce con periodicità quindicinale.

La posizione del quindicinale cattolico nei confronti del conflitto in corso, pur distaccandosi decisamente dal “pessimismo” socialista, continua ad essere misurata, priva di quell'enfasi sull'«eroismo militare italiano» che inonda le pagine di tutte le altre testate. A causa di questa freddezza il giornale subisce i “tagli” della censura governativa e - cosa assai più grave - i rimbrotti del clero tradizionalista, tutto orientato a caldeggiare senza se e senza ma il sacrificio della patria. Le critiche dei lettori e la notevole diminuzione delle vendite determinano, all'interno del gruppo redazionale de L'Ausa, un clima di conflittuale imbarazzo che spinge la dirigenza a dimettersi alla fine di luglio del 1916. La pausa di riflessione che fa seguito all'interruzione delle pubblicazioni consente il superamento degli attriti e la formazione di una nuova équipe giornalistica. Con la ritrovata serenità il periodico, pienamente sostenuto dal vescovo Vincenzo Scozzoli, il 15 settembre 1917 torna nelle edicole, seppure con un formato ridotto e una veste tipografica dimessa.

La svolta editoriale recupera il consenso dei lettori e il quindicinale torna ad essere voce autorevole dei cattolici riminesi. Il cambiamento di rotta si verifica in un momento decisamente drammatico per le sorti del Paese: la micidiale offensiva degli austro-tedeschi nell'alto Isonzo con il disastroso sfondamento del fronte italiano a Caporetto. L'Ausa, con una condotta di esemplare patriottismo, rivolge ai cattolici accorati inviti a sostegno dello sforzo bellico italiano e imposta una coraggiosa campagna contro la propaganda sempre più disfattista dei “rossi” e il loro «subdolo tentativo di coagulare il malcontento e la disperazione dei soldati». Sulle sue pagine, inoltre, trova spazio l'eroismo dei ragazzi riminesi in grigioverde con la toccante iniziativa della pubblicazione delle loro lettere, spedite dalle trincee, prima di soccombere sotto il fuoco nemico.

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