L'eretico che fu mandato al rogo nella Romagna del 1581

Archivio

Annualmente celebrata come quella di un martire del libero pensiero, la memoria della condanna al rogo di Giordano Bruno, eseguita il 17 febbraio 1600 in Campo de’ Fiori a Roma, suggerisce di ricordare quanti anche in Romagna subirono analoghe condanne al patibolo a opera dell’Inquisizione.

Come avvenne nel caso di Andrea Relencini. La sua vicenda è stata descritte dagli storici Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi nel saggio sull’argomento pubblicato e contenuto nel volume di cui sono autori: Misteri e curiosità della Bassa Romagna (Ponte Vecchio Editore) .

Una traccia duratura, quella lasciata dal falegname Andrea Relencini, scrive Bellosi: «Era considerato eretico e fu mandato al rogo a Lugo nel 1581. Per lui Olindo Guerrini scrisse la lapide posta sulla Rocca: “Più che questa pietra duri il ricordo di Andrea Relencini strangolato e bruciato qui presso nel MDLXXXI per sentenza della S.R. Inquisizione ed ammonisca che la Chiesa non tollera ombra di libertà”».

Bellosi, chi era Andrea Relencini e perché fu considerato eretico?

«Siamo nella seconda metà del Cinquecento. Relencini, di cui non conosciamo la data di nascita, era un falegname modenese, seguace della dottrina luterana. La diffusione del luteranesimo a Modena attirò presto l’interesse dell’Inquisizione. Scelse allora di trasferirsi nella piccola Lugo, che faceva parte del Ducato di Ferrara. Qui crebbe nella considerazione, sia per l’abilità nell’arte del tornio e dell’intaglio, sia per le sue conoscenze di matematica e idraulica, tanto che fu incaricato dall’amministrazione pubblica di occuparsi del regime delle acque e riuscì a chiudere una rotta del fiume Senio tra Lugo e Fusignano, che si riteneva senza rimedio. Ma con la popolarità nacquero le invidie e un delatore segnalò all’Inquisizione la sua presenza a Lugo. Il processo fu aperto con l’accusa a Relencini di aver rinnegato la fede cattolica. Altri capi d’accusa riguardavano il presunto esercizio di scienze occulte e arti diaboliche. Durante il processo si giunse alla conclusione che Relencini aveva a Lugo altri compagni di eresia».

Come si svolse il suo processo?

«Relencini venne interrogato a più riprese, ma rifiutò sia di abiurare sia di denunciare altri luterani. Allora si procedette, come d’uso, con la tortura. Ma secondo quanto testimonia lo storico lughese Girolamo Bonoli, «non avendo egli voluto emendarsi», rispose al giudice che, «essendo egli vissuto per 40 anni continui nella setta di Lutero, nella medesima voleva morire». Fu allora rinchiuso in carcere e l’inquisitore gli lasciò inutilmente 40 giorni per pentirsi. La sentenza di morte fu pronunciata nella chiesa di San Domenico la domenica 16 luglio 1581 e il condannato affidato al commissario del duca di Ferrara. Non sappiamo il giorno esatto in cui il duca, che aveva seguito la vicenda con preoccupazione ma senza intervenire, fece eseguire la sentenza. Il rogo fu eretto all’incirca dove ora si trova il monumento a Francesco Baracca, nella piazza che ne porta il nome. Il Bonoli racconta che ad assistere accorsero circa 15.000 persone, dalla città e dai paesi vicini, e che prima Relencini fu strangolato dal carnefice poi il suo cadavere fu bruciato e le ceneri gettate al vento sopra le acque del fossato che circondava la vicina rocca»

Baldini, come funzionò l’Inquisizione in Romagna? Quale fu la diffusione di idee ereticali?

«Per la Romagna, furono sedi inquisitoriali Faenza, Bologna (erette nel 1547) e Rimini (nel 1550). Nel 1550 furono istituiti tribunali inquisitoriali in tutte le curie vescovili. Quindi, come spiega Mattia Randi nel suo saggio L’inquisizione in Romagna (in “Novantasei”, settembre 2016), l’inquisizione di Faenza aveva giurisdizione su gran parte della Romagna. All’inquisizione bolognese faceva riferimento la diocesi di Imola. Come indizio sulla diffusione della Riforma in Romagna, Randi riporta un dato: “L’epicentro dei fenomeni fu Faenza: 155 furono inquisiti tra il 1547 e il 1551, un numero incredibile (circa l’1% della popolazione”».

Si ha notizia di altre condanne avvenute in Bassa Romagna?

«Ricordiamo il caso del convento di Santa Chiara a Bagnacavallo, dove, nel 1548, alcune suore denunciarono altre consorelle di aver abbracciato le idee predicate proprio dal faentino Fanino Fanini . Ci è ignota quale sia stata la sorte delle presunte eretiche. Nella seconda metà del Cinquecento ci fu un altro bagnacavallese, Francesco Vacca, che si professava ariano, che si recò prima in Svizzera poi in Moravia e di cui si persero le tracce. Quanto al giovane fornaio faentino Fanino Fanini, nel nostro libro che riguarda la Bassa Romagna lo citiamo soltanto: era luterano, fu arrestato nel 1547; abiurò e fu rimesso in libertà ma bandito da Faenza; tuttavia non cessò la sua opera di propaganda in Romagna, in particolare a Lugo e a Bagnacavallo, dove fu di nuovo arrestato nel febbraio 1549. Dopo una breve detenzione nella Rocca di Lugo, fu trasferito a Ferrara, dove il 25 settembre dello stesso anno fu condannato a morte e il 22 agosto 1550 fu impiccato e bruciato e le sue ceneri vennero gettate nel Po».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui