L'artista imolese Italo Zuffi in mostra a Bologna

“Fronte e retro”. Ovvero gli opposti. I contrasti. Quelli visibili e corporei e quelli invisibili e mentali. È questo il fil rouge che lega in maniera sotterranea e fluida le cinquanta opere di Italo Zuffi (Imola, 1969) in mostra al Mambo fino al 15 maggio. Una retrospettiva, a cura di Lorenzo Balbi e Davide Ferri, che sarà affiancata a maggio al Palazzo De’ Toschi, in occasione di Arte Fiera, da uno sguardo su opere più recenti dell’artista.

Sculture, installazioni, fotografie, video, performance. Visitando la sala del Mambo si attraversa il percorso artistico di Zuffi, dalla metà degli anni Novanta ai nostri giorni. Gli esordi, le sperimentazioni, la varietà delle ispirazioni e dei linguaggi. «Quando si guarda un’opera d’arte è importante lasciarsi guidare, fidarsi del proprio sentire – suggerisce Zuffi –. Noi artisti traduciamo una sensazione, un vissuto, una voce in un manufatto, sarà poi il pubblico a interpretarlo». Le antitesi dell’esistenza, le fragilità del reale e dell’immaginario diventano scatti, gesti, azioni e rappresentazioni in ceramica, pietra, legno.

Quali criteri sono stati utilizzati per realizzare questa retrospettiva?

«È stata fatta una selezione con l’intento di offrire uno sguardo d’insieme sulle mie opere. Varie le direzioni. Ci sono opere anche molto distanti tra di loro, ma questa è una caratteristica del mio lavoro».

Quali le tappe principali del suo percorso?

«Ho iniziato nell’ambito pittorico. Poi ho abbracciato altre forme espressive. Casualmente ho incontrato la scultura. Ero a Londra e ho sentito la necessità di esprimermi attraverso la tridimensionalità. Ho iniziato a usare la cera d’api, il gesso, la sabbia, il legno. Ho sperimentato nuovi formati. Quello che mi anima e mi ha sempre animato è la curiosità. Ho assecondato i miei desideri affrontando anche creazioni di grandi dimensioni».

In mostra spiccano le sue “Scomposizioni”. Come sono nate queste opere?

«Mi hanno sempre affascinato gli osservatori astronomici e ho incominciato a realizzarne dei modelli architettonici in legno, ma immaginandoli distrutti, deflagrati. C’è un richiamo alla scienza e alla tensione che un luogo, come un osservatorio, manifesta. Rappresentano il desiderio di scrutare un ambiente, l’interno, il suo esterno, ed assumono un valore simbolico di distanza e avvicinamento».

L’arte che si fonde con l’architettura.

«L’architettura è uno dei temi al quale ho legato il concetto di paesaggio. L’architettura è progettualità ragionata e questo mi attrae».

Le antitesi sono una delle chiavi di lettura della sua arte. Grandi dimensioni e piccole creazioni, manualità e idee.

«Le contrapposizioni riguardano soprattutto i cicli di sculture, ma affronto anche il contrasto tra ciò che è presente e ciò che è quasi invisibile».

Ecco allora “La replica”: quattro mattoni in marmo, uno di fianco all’altro. Su quello più piccolo, in fondo, un mattone giocattolo.

«Qui c’è la dimensione infantile, distruttiva del bambino e quella progettuale dell’adulto». Oppure “Resting branch”, piccoli rami in ceramica appoggiati su rullini.

«La ceramica è tridimensionale e ha la possibilità di essere modellata. È un materiale con cui ho sempre lavorato, è naturale e non chimico».

Affronta anche tempi politici?

«Sì, nell’accezione soprattutto relativa al mercato dell’arte. Tempo fa mi sono tirato fuori dalle dinamiche di inclusione ed esclusione. Sono uscito dalle gallerie e per diversi anni ho affrontato la fatica da solo. Non so se sia stata una scelta corretta o meno, ma non volevo pressioni. Oggi mi sento più tranquillo. Auspico da sempre un rapporto diretto con il pubblico e oggi ritengo le gallerie degli ottimi luoghi in cui rendere accessibile il proprio lavoro».

www.mambo-bologna.org

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