Rimini, l'albergatore: "Ecco perché non possiamo più tenere ucraini gratis"

«Non è stato facile ma l’abbiamo dovuto fare, anche loro alla fine hanno capito». Il 30enne Mattia Ricci, assieme al socio Artur Sheshi, è titolare dell’hotel Sissi, in via Catania, a Rivazzurra. Ed è lui che ha chiesto alle sette madri ucraina con otto figli di lasciare le camere dove erano stati accolti da una settimana.

Ci racconta com’è andata?

«Intanto voglio sottolineare che non siamo i cattivi in questa storia. Siamo stati costretti a chiedere ai profughi di trovare un altro posto».

Loro però non avevano altri posti dove andare, giusto?

«Il fatto è che noi per oltre una settimana abbiamo fatto la nostra parte, accogliendo queste persone e lo abbiamo fatto felici di aiutare chi aveva bisogno, sono madri con figli e noi siamo i primi a capire la gravità della situazione, però non potevamo andare avanti».

Perché?

«Perché anche noi dobbiamo lavorare. Basti pensare che sono arrivati i primi turisti per la Rimini Marathon in albergo e i profughi, purtroppo, non sono stati ancora registrati, non avevano tampone, non avevano green pass, mi dica lei cosa dovevo fare».

Lei cos’ha fatto?

«Noi abbiamo chiesto a tutti loro di andare a registrarsi in questura, in modo tale da fare tamponi e tutto il resto, ma anche per potere fare dei contratti con lo Stato, la prefettura e potere ospitare a pagamento queste persone, che hanno bisogno di un tetto».

Loro perché non sono andati a registrarsi?

«Loro sono andati, ma la mole di lavoro in questura è tanta, c’è molta gente ogni giorno che fa la fila e loro dicevano che non riuscivano. Adesso hanno ottenuto il tampone e per fortuna saranno registrati, li porteremo domani (oggi, ndr) in questura e potrebbero restare anche da noi».

Lei è tra gli hotel che hanno fatto domanda per ospitare gli ucraini?

«Sì, abbiamo due strutture, oltre al Sissi abbiamo il Migani. Siamo tra gli alberghi che potranno accogliere i profughi e queste madri e questi bambini a breve troveranno una soluzione. E anche dopo potrebbero stare con noi: a pagamento però, perché la nostra parte l’abbiamo fatta, anche noi dobbiamo lavorare».

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