Intervista a Veronica Raimo, oggi a Santarcangelo

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Il suo è un romanzo esilarante e feroce insieme, scritto con disincanto e con uso magistrale delle parole. Potrebbe sembrare un racconto di formazione autobiografico per quanto autentico, in realtà l’autrice – la scrittrice romana Veronica Raimo, che lo presenta oggi alle 18 alla Biblioteca Baldini di Santarcangelo in dialogo con Pier Angelo Fontana nell’ambito della rassegna InVerso – lo ha intitolato Niente di vero (Einaudi, 2022).

Raimo, perché questo titolo?

«Volutamente ambivalente, gioca col mio nome e con le non verità che vi sono contenute. Abbiamo visto che era un titolo che funzionava bene per l’ambiguità che rappresentava ed era un modo per scostarmi dallo scrivere un memoir, cosciente dell’ineffabilità della memoria».

Quindi in quella che sembra la vera storia della sua famiglia c’è poco di autobiografico.

«I ricordi sono sempre fragili e manipolabili. Alcune storie e fatti sono veri, altri immaginati, altri mescolati. Nella letteratura romanzesca l’importante è il processo di invenzione dove c’è anche del vero, come nomi di persone e luoghi».

A 5 anni dal suo esordio si aspettava questa notorietà, il successo e la selezione al Premio Strega?

«Sinceramente no. E fatico a spiegarmelo perché io sono sempre poco esposta. È il mio quarto romanzo e ha venduto parecchio di più, come se fosse quello d’esordio. È piaciuto molto ai librai, ai lettori ed è scattata quella cosa rara chiamata passaparola. Un tam-tam che ha interessato pubblici tra loro diversi, per età, gusti, tendenze».

Ora potrebbe intervenire il timore che sia più difficile bissare il successo?

«Senza dubbio, è l’incubo dell’essere famosi. Ed è abbastanza angosciante il fatto che si ha paura di ripetere una formula vincente. Vedremo!».

Il suo romanzo, candidato allo Strega, diventerà un film: Fandango ha annunciato l’acquisizione dei diritti cinematografici. Quando uscirà?

«Dipende da me, anche perché devo scrivere la sceneggiatura, sto valutando. Comunque si farà, e coi tempi necessari».

Lei ha già scritto la sceneggiatura di un film con Marco Bellocchio e Stefano Rulli, “Bella addormentata” (2012), con la regia dello stesso Bellocchio.

«Sì, e ho capito tardi che è un tipo di scrittura in cui ci si mette al servizio di un altro. Per me non avere il controllo, come accade quando scrivo i libri, non è stato facile; oggi, dopo quell’esperienza potrei essere meno egocentrica».

Ha molto vissuto a Berlino, dove ha lavorato all’Università. Ora vive stabilmente qui?

«Sì, a Roma. Ho subito una sorta di disamoramento per Berlino perché negli anni è cambiata finendo per assomigliare sempre più a Londra, a Parigi. Succede!».

Nella sua famiglia c’è un altro scrittore, suo fratello Christian. Per lei è stato un incentivo o, come si legge nel libro, voi due non potevate che prendere questa strada?

«Abbiamo un ottimo rapporto, essere scrittori ha fatto bene a entrambi. Per me, soprattutto all’inizio, è stato importante avere una persona con cui condividere i momenti felici e quelli più frustranti. Non ho mai provato competizione e ci siamo sostenuti a vicenda. Il nostro mondo è difficile, si è molto soli e io non vedo gli altri come avversari. Per me è importante stabilire una rete con gli scrittori che amo: è un modo per non impazzire».

E riguardo alla vostra famiglia così particolare?

«Per noi due leggere era una forma di sopravvivenza alla noia, al fatto di non poter fare altre cose, e scrivere un modo di creare mondi alternativi. Sì, la nostra convivenza familiare ci ha costretti a sviluppare la fantasia».

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