Intervista a Clarice Carassi nuova presidente di Trama di terre

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Nuovo corso alla storica associazione di donne Trama di Terre. Da luglio alla guida del direttivo c’è Clarice Carassi. Avvocata, esperta nella tutela di donne vittime di violenza, Carassi ha alle spalle una lunga militanza in diverse associazioni femministe.

Come è iniziato il suo impegno per le donne?

«Dal 2006 mi occupo di tutela dei diritti delle donne e contrasto alla violenza di genere come avvocata dei centri antiviolenza. Ho iniziato con l’associazione La cicoria e dopo la sua chiusura sono stata fra le socie fondatrici di PerleDonne. Io e un altro gruppo di donne ne siamo poi uscite per differenti posizioni su alcuni temi e mi sono messa a disposizione di Trama di terre come avvocata. Da luglio sono stata eletta presidente».

Trama di terre ha una lunga storia di militanza e impegno in città sul fronte dei diritti delle donne, con prese di posizione spesso anche forti. Ora cambierà qualcosa?

«Rimane un punto fermo e insindacabile il fatto che Trama di terre sia un presidio per le donne, delle donne, ma anche della città intera. Un presidio politico che intende mantenere il proprio impegno e la propria vocazione, ovvero essere un luogo di accoglienza per donne migranti e non, di promozione dei diritti delle donne e della loro autodeterminazione. Ma anche un luogo dove si mettono a punto e si stimolano buone prassi e iniziative e azioni di formazione, oltre che di riflessione sulle politiche per le donne. Un luogo aperto e di attivismo. Questo nuovo direttivo non vuole in alcun modo tradire il progetto originario di Trama e ne conserva anche il dna, essendo formato anche da operatrici e coordinatrici che operano da tempo in questo spazio. Trama appartiene alle donne di Trama ma anche alle donne di Imola e di tutta la comunità».

Quale sarà il suo apporto personale, vista anche la sua competenza professionale?

«Il mio sarà un impegno politico e culturale volto soprattutto a fare emergere la connotazione non emergenziale ma purtroppo culturale della violenza di genere. Questo grazie anche alla mia professione che mi restituisce un osservatorio sull'applicazione della legislazione in tema di contrasto. In particolare voglio richiamare l’attenzione sulla vittimizzazione secondaria che spesso le azioni politiche, legislative e amministrative hanno preso meno in considerazione, concentrandosi invece sulla penalizzazione e punizione o solo sulla messa in tutela e protezione della donna».

In che modo?

«La formazione è la strada per affrontare questo tema. La violenza di genere non è un fenomeno emergenziale ma è un problema strutturale che ha una spiegazione culturale, anzi inculturale. Discriminazione, gender gap, patriarcato, familismo, ideologia sessista, le radici della violenza sono e restano lì. Si interviene informando e formando tutta la rete che interviene quando si agisce sul contrasto alla violenza».

Ci faccia qualche esempio di vittimizzazione secondaria.

«La rivittimizzazione è dappertutto, nel linguaggio quotidiano, ma anche nel percorso processuale e giudiziario, ad esempio nella contraddizione fra provvedimenti penali e civili per la definizione della responsabilità genitoriale e affidamento dei figli. Nella quotidianità, c’è ad esempio il fulgido esempio del giornalista compagno della premier che con le sue parole ormai famose reitera la cultura dello stupro addossando la responsabilità della donna rispetto a quello che le viene perpetrato. E la stessa premier che sostanzialmente difendendolo, purtroppo conferma il pregiudizio. Ma un altro esempio è anche dire alle donne non andate all'ultimo appuntamento, non si può concentrare lì la questione spostando costantemente l’attenzione dalla responsabilità dell'uomo».

Nelle ultime settimane a Imola ci sono state molte esecuzioni giudiziarie per inasprimenti della custodia cautelare a carico di uomini maltrattanti. C’è una particolare attenzione al fenomeno da parte della Procura?

«Noto più tempestività e significa che c'è la giusta lettura giudiziaria di quelli che sono gli episodi e dell’eventuale escalation della pericolosità. Oggi c’è una pronta risposta giudiziaria e di polizia alle istanze di tutela delle donne che denunciano».

Ma le donne sono davvero più disposte a denunciare o esiste ancora molto sommerso?

«Le donne sicuramente denunciano di più perché sono più informate. Ricevono maggiore accoglienza e anche le forze dell'ordine sono più formate per affrontare queste casistiche. Però le donne hanno sempre timore di non essere credute, ed è l'effetto della vittimizzazione secondaria di cui parlavamo. Sanno che se agiscono per tutelare i figli vittime di violenza assistita c'è il pericolo che vengano giudicate alienanti o madri inadeguate. Il victim blaming è la causa principale di un sommerso che c’è ancora e che dobbiamo riuscire a far emergere».

In città a che punto è il dibattito fra le donne sui temi che le riguardano direttamente?

«Io sento un grande confronto, l’associazionismo c'è, c'è una Amministrazione che ascolta le istanze che arrivano dalle associazioni femminili, un’assessora che partecipa attivamente. C'è una commissione pari opportunità attiva che porta attenzione alle istanze che provengono anche dalle voci giovani del femminismo e sento un fermento culturale, femminista e di inclusione, rispetto a nuovi collettivi che si muovono».

Prossimi impegni di Trama?

«In rete con la commissione pari opportunità ci prepareremo a un calendario di appuntamenti per la giornata del 25 novembre contro la violenza di genere. Ma soprattutto sta per prendere avvio il progetto contro i matrimoni forzati, finanziato dalla Regione con circa 30mila euro. Trama di terre fu la prima in Italia, nel 2009, a fare ricerca sui matrimoni forzati in Italia. Fu quello l'input per individuare pratiche utili a fare emergere un fenomeno allora sconosciuto. Dal 2011 al 2014 gestì la prima casa rifugio nazionale per giovani donne straniere che avevano voluto sottrarsi all’imposizione del matrimonio e dal 2014 Trama ha elaborato le prima linee guide per il contrasto ai matrimoni forzati, aggiornate poi nel 2021. Oggi l’associazione è costituita parte civile nel processo per il femicidio di Saman Abbas. L’obbiettivo del progetto è facilitare l’avvio dei percorsi di autonomia e autodeterminazione delle donne vittime di matrimoni forzati in Italia e, dal 2024 con specifici laboratori, rafforzare le competenze di operatrici e operatori dei servizi pubblici, scuole, forze dell’ordine, privati impegnati nell’accoglienza coinvolti nella presa in carico. Ma fra le altre cose vorremmo anche partire con una rassegna per presentare libri del pensiero femminista, che ha tante declinazioni e modalità di espressione che ha senso rappresentare. La nostra forza, in quanto donne, deve essere quella di riconoscerci pari dignità delle esperienze e del vissuto. La sorellanza è questo».

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