Imola, voragini di 5 metri nei campi: "Frane come un terremoto"

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«Qui scendono le montagne». Il tono di Maurizio Zaniboni, titolare dell’azienda agricola Il Poggio, è quello dell’incredulità nel raccontare cosa si è trovato, o meglio, cosa non si è più trovato davanti agli occhi quando ha fatto un giro di ricognizione nei suoi terreni. I suoi 18 ettari, di cui 11 coltivati, si trovano a Carseggio, nel Comune di Casalfiumanese, interessato come gli altri della vallata del Santerno da profonde frane che hanno modificato il paesaggio a vista d’occhio.

Il bilancio per l’azienda è drammatico: dalle gelate, alla pioggia torrenziale alle frane, di cinque produzioni frutticole ne resta a malapena una, e nemmeno tutta. «Spero che tenga, ci sono ancora tanti se, ad esempio le malattie – commenta Zaniboni, che intanto continua a coltivare quell’appezzamento –. Una parte dell’impianto è perduto, ma le valutazioni le faremo a bocce ferme. Siamo ancora storditi».

Una enorme frattura

«Un lavoro così non lo potevo nemmeno immaginare. Anche perché da quando sono qui, dal 1975, la nostra terra non aveva mai mosso», racconta Zaniboni. Anche se in vallata le frane sono un fenomeno noto nessuno ricorda di un tenore simile, giudicato straordinario pure dagli esperti.

Anche la scoperta ha dell’incredibile: «Ero in giro per l’azienda per regimare l’acqua e ho notato qualcosa di strano. Non vedevo più alcune delle piante. Arrivato sul posto ho visto il disastro – ripercorre Zaniboni –: ha franato un campo di un ettaro e mezzo, collassando su di un rio che mi divide dal vicino. Ci sono delle voragini di 5 o 6 metri, crepe nel terreno larghe uno di cui non si vede il fondo. Sembra un terremoto che ha smosso le fondamenta della montagna».

In parole povere è proprio così: non si tratta di frane superficiali a livello degli apparati radicali ma profonde nella roccia. E infatti: «Mi sarei aspettato potesse franare il campo seminativo che abbiamo sopra la casa, che fortunatamente è ancora lì. Non quello alberato. I geologi hanno consigliato di inserire nelle crepe dei picchetti di legno come testimoni, che ho legato con un nastro, per monitorare la situazione. Ma anche loro allargano le braccia».

Un’annata terribile

Quel campo era l’unica produzione che stava andando bene: «È un impianto di susino di 6 anni, sarebbe proprio in piena produzione. Di 5 ettari in salita ora ne restano 3 e mezzo, e la frana rende difficile la lavorazione tra le file».

Sulle altre produzioni il cambiamento climatico ha picchiato con le sue varie facce: «Con le gelate tardive di Pasqua abbiamo avuto danni al 90% sui kiwi, al 100% sugli albicocchi e al 40% sulle ciliegie precoci, che queste piogge hanno portato al 100%. Spero nelle tardive, ma bisogna vedere se pioverà». Perché «in questi giorni è strano dirlo, ma la collina non ha acqua e siamo carenti di invasi. Io avevo 3 ettari e mezzo a kiwi, una pianta che beve tutti i giorni. Quando limitano il prelievo dal fiume, senza un bacino non si regge – prosegue Zaniboni, che vede un’unica soluzione –. Forse oggi dovremmo discutere se culture del genere hanno ancora ragione di essere in questo territorio, ma finché ci sono servono dei bacini, e soprattutto che tutte le aziende collaborino, altrimenti i costi sono inaccessibili». Stesso principio per le associazioni di categoria: «Saremmo più incisivi sotto una sola sigla», conclude.

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