Imola, "vendo legna e pellet, ma non c'è margine e chiudo"

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«Ho chiuso l’attività di vendita di legna da ardere e pellet, sia per scopi domestici che per pizzerie e ristoranti e, in quest’ultimo ambito ne servivo anche un centinaio in tutto il territorio, alla fine dell’anno scorso. Si viaggiava a circa 60 bilici all’anno di merce venduta. Già gli ultimi mesi del 2021 si vedevano, purtroppo, segnali di un’escalation negativa nel mercato che non ci faceva presagire nulla di buono all’orizzonte. E ci abbiamo, nostro malgrado, preso».
Questo è un esempio di chi, come appena spiegato da Michele Ciarlariello, storico rivenditore di legna e pellet nel territorio imolese e non solo, ha deciso, con «lungimiranza rispetto a quello che sta avvenendo», di gettare la spugna.


«Nessun margine di guadagno»

«Non c’era più un margine e una sostenibilità economica di guadagno con queste speculazioni e questi rincari generali che stavano iniziando a interessare anche una materia prima come quella del legno. Un mercato falsato da una serie di fattori che anno dopo anno erano sempre peggiorativi».
Ragioni diverse spiega Ciarlariello che partono «dagli estremi, estenuanti e iper burocratici controlli della Forestale che hanno portato a un innalzamento del costo della manodopera nel bosco. Si era infatti passati da 2 euro al quintale agli attuali 4,5 euro. Questo porta come conseguenza che anche il cosiddetto materiale verde iniziasse a costare troppo per il consumatore finale. Una situazione generalizzata non solo sul territorio ma in tutta Italia».
A questo, negli ultimi due anni, «si sono aggiunte impennate del costo degli attrezzi, una motosega la si pagava 400 euro oggi siamo sui 950 euro, della miscela, della nafta agricola passata da 1 euro al litro agli attuali 1,6/1,7 euro. Rialzi che portano oggi, per la legna da ardere, il prezzo passare dai 14 euro al quintale di due anni fa ai quasi 20 di oggi».


Pellet come oro

Sul pellet la cosa non cambia. Anzi. «Quello commercializzato da noi proviene per la maggior parte dai paesi dell’Est europeo come l’Estonia, Lituania, Romania e Polonia. Zone in cui il fabbisogno interno, in questi ultimi mesi, è cresciuto vertiginosamente a causa del rincaro del gas e quindi si tende a esportarne meno e con conseguenti ovvi rincari. Diventa, infatti, più comodo e remunerativo venderlo nei loro mercati a 3,5 euro che trasportarlo e venderlo a noi a 4/5 euro».
Un viaggio di un camion, sottolinea l’ex commerciante, « è passato dai 900 euro ai 1.700 euro per 240 quintali di pellet, questo porta come minimo a un incremento, a sacco, di 10 centesimi. In definitiva oggi si vedono sacchi di pellet venduti a 8/10 euro quando l’anno scorso era a 4,5 euro. In più oggi non si fa più il prezzo pre stagionale in cui ad aprile e maggio le persone vanno a comprarlo fermando il prezzo in quel momento per poi portarselo a casa in autunno. Non si fa perché i prezzi a monte sono troppo instabili. La scelta di chiudere non è stata per nulla una brutta idea».

 

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