Imola, per un giorno l'autodromo si tinge di rosa
L’autodromo ieri si è tinto di rosa, dando la parola alle donne che i motori li conosco bene, li guidano, ci lavorano e li progettano. Per l’8 marzo il Comune di Imola ha organizzato un convegno sull’“automotive al femminile. Wow, women motor, il primo evento dedicato al ruolo delle donne nell’industria e negli sport”.
Nato dall’idea delle assessore all’Autodromo Elena Penazzi e alle Pari opportunità Elisa Spada, la proposta è stata subito accolta dal sindaco di Imola Marco Panieri, che nei suoi saluti le ha chiamate sul palco per ringraziarle del «progetto innovativo, in una data che non è solo un giorno di festa ma di riflessione». «L’automotive al femminile può rappresentare uno sbocco importante. L’entusiasmo che abbiamo raccolto dimostra che il nostro autodromo si allarga nella motor valley», ha affermato Penazzi e Spada ha confermato: «È bastato allertare le donne e ognuna ha fatto il nome di un’altra creando una rete».
Motori femminili
A entrare nel vivo della questione, e cioè il ruolo delle donne in un settore ancora fortemente maschile come quello dei motori, è stata l’assessora regionale alle Pari opportunità Barbara Lori. Dopo i saluti del presidente di Formula Imola Gian Carlo Minardi e della coordinatrice imolese per l’Università di Bologna Patrizia Tassinari, Lori ha fissato i termini della discussione: «Serve aprire una prospettiva nuova per le ragazze, perché non è scontato si buttino nelle carriere scientifiche. Allarghiamo questo spazio».Gli auguri per l’8 marzo li ha fatti invece Simona Lembi, delegata metropolitana al Piano per l’uguaglianza: «È nel lavoro che si verifica se c’è parità, vera autonomia e indipendenza. Le donne sono le più preparate, si laureano con voti migliori e in tempi più brevi, il problema sono l’accesso al lavoro e la carriera. È positivo che il mondo dell’automotive si apra alle donne».
Le protagoniste
A fare il punto sulla situazione odierna, ancora lontana dalla piena parità perché come ha detto Siegfrid Stohr «il presidente della Federazione è colui che disse che le donne credono di essere intelligenti quanto gli uomini ma sbagliano», ci hanno pensato le relatrici e i relatori dei cinque panel del pomeriggio. Tra loro Nadia Padovani, vedova di Fausto Gresini, che ha testimoniato la propria decisione di «prendere in mano l’azienda alla morte del marito pur venendo da un lavoro di tutt’altro tipo con l’aiuto dei collaboratori».È riuscita a sorprendere Enzo Ferrari tanta è la sua passione per i motori. «Quando l’ho visto con gli occhiali scuri sul modello F40 era stupito, non capiva la mia passione per la pista». E si comprende: Monica Zanetti è una donna. E questo può disorientare in un mondo, quello dei motori, ancora declinato al maschile.
In effetti, la sua vita pare un manifesto che sdogana gli stereotipi, ma lei non l’ha fatto per questo. Lei, di Maranello, aveva le idee chiare: «Volevo fare la meccanica. Da sempre». È entrata in Ferrari a 15 anni come operaia consapevole che sarebbe stato faticoso, «anche fisicamente», racconta. La voglia le è nata si potrebbe dire a bordo pista. «Mio zio era un meccanico Ferrari e a Modena mi portava a vedere le prove. È stato così che ho visto Ignazio Giunti pochi mesi prima del suo incidente. Lo ricordo come fosse ieri. Da lì mi sono affezionata ancora di più a questo mondo, in cui volevo entrare ma non per avere una posizione. Io volevo fare una Ferrari fatta bene».
E ce l’ha fatta eccome. La sua forza è stata la sua manualità, che in un mese le ha permesso di imparare a lavorare su un’intera linea di montaggio Ferrari. Partita dal reparto carrozzeria, proprio per questo è finita a fare «il cablaggio, le porte, i cofani con le palpebre e i fanali fissi dell’F40 – racconta –. Eravamo in quattro, io e tre uomini. Capitava che se ero io a intuire il problema su cui lavoravamo non mi dessero subito ascolto». D’altronde, quando ha cominciato, «non c’erano i bagni femminili, li hanno messi di lì a poco, e le condizioni di lavoro anche fisiche erano molto difficili». E quando Ferrari le ha chiesto cosa volesse, lei gli ha «chiesto di vedere il Gran Premio a Monza», dice sorridendo.
La passione si sente subito quando parla, accendo modenese, giacca gialla come il logo della sua scuderia in cui restaura auto da corsa, la Belle epoque, che ha aperto con la sua socia Gemma Provenzano, «perché una volta in pensione non ho smesso di voler fare la meccanica. Molti piloti Ferrari si fidavano ciecamente di chi aveva lavorato nell’azienda e spinta dalla voglia di continuare e di trasmettere ai giovani ho aperto un’officina. Nessun altro meccanico si decideva a farlo, e allora l’ho fatto io. È importante trasmettere la conoscenza per il futuro, altrimenti si va poco lontano».