Imola, il decalogo dell'Ausl per la sanità del dopo pandemia

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Il “dopo pandemia” è già iniziato per l’azienda sanitaria imolese che ha messo nero su bianco dieci punti, «già negoziati con i professionisti dell’Ausl» dice la direzione, per ripartire. Ieri in commissione consigliare sanità per la prima volta dopo due lunghi anni non si è più parlato di curve di contagio e varianti, posto che, come ha sottolineato lo stesso direttore generale dell’Ausl Andrea Rossi «la pandemia non è però finita per decreto». Il direttore generale ha tracciato il profilo di un’ organizzazione sanitaria decisamente diversa da quella attuale, specie sulle cure primarie che si concentreranno nelle nuove cosiddette “Case di comunità” (tre quelle attuali nel circondario a cui si aggiungerà quella di Imola all’ospedale vecchio, i cui lavori partiranno non prima del 2023) frutto anche di ciò che il Covid ha insegnato, a cominciare dal fatto che la rigidità di una certa organizzazione e di certe figure non sono più attuali.

Medici di base

«La medicina generale, ad esempio, dovrà essere ripensata a fondo, è uno dei settori che è uscito peggio dal Covid – dice Rossi –. Certo, ci sono stati esempi straordinari di attaccamento alla professione, ma il medico factotum non è più un modello attuale. Bisogna lavorare per lasciarli meno soli, con una organizzazione più evoluta dal punto di vista strutturale e tecnologico, favorendo il lavoro in equipe. Eventualmente consentendo anche a medici dipendenti pubblici di farlo».

L’ospedale

«L’ospedale dovrà restare il luogo dove trattare le acuzie», andrà migliorato standard strutturale e tecnologico (nuova tac entro l’estate, sostituzione di tutti gli ecografi con più di 7 anni, un nuovo mammografo digitale...), sviluppate la multi disciplinarietà e le piattaforme logistiche condivise, l’attività diurna, i collegamenti con le reti sul territorio. Implementare la nuova chirurgia microinvasiva, o robotica, allestire una sala operatoria oculistica. «Meno posti letto e cicli brevi, non per mettere fuori i pazienti – dice il direttore – ma per creare continuità di collegamento con tutte le attività che si devono svolgere sul territorio fuori dall'ospedale quando è possibile, il Covid ha insegnato che sono necessarie». Il tutto passerà da ammodernamenti tecnologici importanti e anche interventi strutturali ad esempio nell’area critica, il Dea ha già 13 anni e va aggiornato.

Il personale

I primari vacanti al momento sono sono 10, in quattro specialità sono presenti dei facenti funzioni (gastroenterologia, nefrologia, pediatria, oculistica), per geriatria si prevede un upgrade, altri cinque sono in corso di attribuzione: distretto sanitario, cure primarie, ostetricia e ginecologia entro giugno, neuropsichiatria infantile e anatomia patologica entro l’anno. Dopo due anni è stato nominato da poco il nuovo primario di chirurgia. «Ma non sono preoccupato per le posizioni apicali – ha detto Rossi –, lo sono invece per tutte quelle figure che non si trovano: infermieri, soprattutto specialistici, tecnici di radiologia e laboratorio, anestesisti e medici di pronto soccorso, oculisti, ginecologi, pneumologi, cardiologi, pediatri e medici di medicina generale. Nei prossimi due/tre anni non riusciremo a coprire i pensionamenti con giovani medici che oggi non ci sono, specie nelle zone periferiche».

Liste d’attesa

Ritornare poi a tempi d’attesa pre Covid non sarà semplice. Eccetto per gli screening di prevenzione: «siamo gli unici che non li hanno mai interrotti e siamo in pari», dice Rossi. Rispetto agli interventi chirurgici programmati i 4000 eseguiti in media annualmente sono calati di 700 unità in era Covid. «Arriveremo allo stesso volume entro maggio – assicura il direttore –. Poi siccome arriva l’estate e dobbiamo garantire le ferie estive a queste persone che hanno tirato la carretta per due anni, abbiamo chiesto di ampliare la convenzione con il San Pier Damiani di Faenza che ci coprirà per una media di 2/3 sedute operatorie a settimana per interventi di bassa media complessità per tutto il 2022 e per metà 2023 così da poter rientrare a dicembre negli standard pre Covid». Negli interventi non salva vita si sono raggiunti tempi di attesa molto lunghi, ad esempio un anno e mezzo per una cataratta. «Il fatto è che se noi da un lato abbiamo già ristabilito i volumi della nostra offerta, per la specialistica ambulatoriale la domanda è aumentata dopo il Covid. C’è certamente un eccesso di prescrizione, è un problema di appropriatezza da un lato, ma dall’altro non ci possiamo più permettere un accesso globale attraverso il Cup: tutto quello che non è primo accesso deve poter essere programmato attraverso una presa in carico».

Un quadro economico preoccupante

Il direttore Andrea Rossi lo ha detto in fondo, ma per fare tutto quello che dovrà essere realizzato, per riorganizzare un sistema, ma in certi casi anche solo per tornare ai livelli di prestazione pre Covid, come ad esempio nei tempi di attesa per le prestazioni diagnostiche o chirurgiche ambulatoriali, le risorse non sono adeguate. «Sono previsti rinnovi contrattuali nel 2022 che graveranno in regione per 315 milioni di euro e questi non dovrebbero gravare sui bilanci delle Aziende sanitarie. I costi dell’energia sono cresciuti anche per noi, 55 milioni in più stimati in regione, solo per l’Ausl di Imola 1,8 milioni di euro. I costi Covid 2022 ci saranno ancora, 500 milioni in regione, la pandemia non è esaurita. Nel 2021 non sono stati coperti dall’Europa e ci sono almeno tre regioni che faticano a chiudere i bilanci 2021. L’Emilia Romagna faticherà nel 2022, tutte le Regioni hanno ormai svuotato i loro salvadanai». C’è il Pnrr, ma quello «non coprirà i costi incrementali per assistenza domiciliare, cure intermedie e di prossimità», sulle quali si gioca gran parte della partita per la sanità del prossimo futuro.

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