Imola, crac Mercatone Uno. "I Cenni si comportarono in modo onesto"

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«La crisi del gruppo Mercatone Uno non deve nulla a condotte illecite della famiglia Cenni, degli amministratori o dirigenti apicali come Giovanni Beccari, essendo anzi il comportamento di queste persone improntato all’onestà e a far sì che le società e le aziende del gruppo versassero nelle migliori condizioni possibili, sia sul piano economico finanziario che su quello gestionale». Con queste parole, diffuse in una nota, gli avvocati Luca Sirotti, Olmo Corrado Artale e Chiara Tebano, commentano le motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Appello ha confermato l’assoluzione già stabilita in primo grado nei confronti di Elisabetta, Micaela e Susanna Cenni e Giovanni Beccari perché «i fatti non sussistono».

Alle figlie del fondatore Romano Cenni, morto nel 2017, e ad alcuni amministratori erano infatti contestate una serie di operazioni societarie, con cui fino al 2013 sarebbero stati sottratti all’azienda alcune centinaia di milioni di euro. Come sottolineano i tre legali, «i magistrati, dopo un ampio contraddittorio e approfondita disamina degli atti, non solo hanno pienamente confermato l’efficacia e la concretezza delle erogazioni a fondo perduto che la famiglia Cenni fece nella speranza e nella convinzione di contribuire alla ripresa del gruppo, ma hanno affermato con chiarezza l’insussistenza delle distrazioni contestate».

I perché della decisione

«Al cuore della decisione – continuano – sta la legittimità delle operazioni straordinarie e delle distribuzioni di utili oggetto delle contestazioni accusatorie: per i giudici, come fin da subito per il perito del gup, le condotte si susseguirono in un contesto di razionale riassetto dell’organizzazione societaria senza alcuna incidenza pregiudizievole sulle condizioni finanziarie del gruppo rimaste sino all’ultimo stabili ed equilibrate».

Sirotti, Artale e Tebano non si fermano però qui, segnalando anche «la perdurante positività, in tutto l’arco temporale considerato, del patrimonio netto del gruppo, il quale è risultato essere in attivo per centinaia di milioni di euro. Ciò ha determinato l’affermazione dell’insussistenza di un pericolo per le ragioni creditorie determinato dalle vicende oggetto delle accuse, così difettando l’elemento centrale dei reati contestati, ovvero l’illecita decurtazione patrimoniale della società con pericolo per il soddisfacimento dei creditori sociali». C’è quindi «soddisfazione per l’assoluzione», ma anche «l’amaro in bocca per essere stati sottoposti per lungo tempo a un procedimento penale con accuse gravi e fortemente stigmatizzanti – terminano – avviatosi inoltre con rilevanti e onerosi sequestri patrimoniali».

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