Il nuovo vescovo: "Pensiamo ai poveri e disabili di Rimini"

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«Prima i nostri poveri. Aiutiamo gli anziani di Rimini: la solitudine è la miseria più terribile».

Sono queste le prime parole pronunciate in un momento storico senza precedenti dal nuovo vescovo di Rimini, monsignor Nicolò Anselmi che «con fatica» ha lasciato il suo mare, quello della Liguria, ma è pronto a prendere il largo nella nuova missione che gli è stata affidata.

Monsignor Anselmi, si aspettava la nomina a Vescovo? E soprattutto come la sta vivendo vissuta?

«Immaginavo che prima o poi sarebbe accaduto, perché Papa Francesco me l’aveva anticipato: “Da vescovo ausiliario prima o poi ti daremo una Diocesi”. Non pensavo però così lontano. Sarebbe una bugia dire che non emerge della sofferenza a lasciare le persone a cui voglio bene e le relazioni maturate nel tempo. Riconosco che c’è una bella sofferenza in questa Grazia, anche se poi il Signore aiuta sempre e lo Spirito Santo ci accompagna dovunque».

Quali azioni metterà in campo per la gioventù riminese? Lei è un esperto sciatore, per richiamarli nelle parrocchie userà anche la leva dello sport?

«Lo sport è l’unica cosa che so fare – ride – e sono appassionato anche di alpinismo e arrampicata. Credo comunque che sia giusto essere se stessi, sempre e quindi anche nel dialogo con le nuove generazioni, non dobbiamo fingere, né usare alcun stratagemma. Mi sono occupato per tanti anni sia della Pastorale di Genova che di quella nazionale, maturando un’idea, che ho ribadito salutando la gioventù ligure. Ovvero Siamo nella fase in cui c’è bisogno di dare fiducia ai ragazzi. Certo, conta molto anche essere presenti col nostro carico di esperienza, però senza pretendere di incanalare lo Spirito Santo che soffia nella vita dei giovani, che li chiama e li spinge lontano. Bisogna rischiare anche qualcosa che vada un pochino fuori dalle righe. Tutto è positivo se arriva da quel Bene che è sempre animato dall’amore. Anche ripensando alla mia vita, so di aver imparato di più e di essere veramente cresciuto quando un adulto si è preso cura di me e il Signore si è fidato di noi. È questa la strada da seguire. Non è importante quello che il mondo degli adulti può fare per i ragazzi, quanto piuttosto quello che tutti insieme possiamo fare. Anche i più piccoli ci devono mettere un po’ del loro».

Dal caro bollette alle incertezze della guerra in Ucraina, Rimini sta vivendo un momento difficile per contingenze anche internazionali. Che cosa potrebbe infondere coraggio, sostenendo a livello spirituale i riminesi?

«Come ci ha detto Gesù dobbiamo essere uniti. Uniti più che mai in un simile frangente, in uno spirito di assoluta gratuità e assoluta fraternità. Essere una cosa sola, dedicando un’attenzione particolare a chi è in difficoltà, cominciando dalle persone a noi vicine. Certo è chiaro che bisogna pensare all’Ucraina, al mondo e ai migranti, ma in particolar modo ai nostri poveri, in primis gli anziani di Rimini. Penso che la solitudine sia la più grande di ogni povertà e che quindi occorra forte attenzione per chi ha un passo un po’ più lento».

Quali le iniziative per alleggerire la fatica delle famiglie con disabili?

«Nella Diocesi ce ne sono di belle. Proseguiremo su questa linea, perché i genitori e in generale le famiglie non si sentano abbandonate, fermo restando che i nostri disabili sono un dono, ne sono convinto. Ci fanno crescere, chiamano a raccolta le nostre forze e tirano fuori da ognuno anche delle risorse d’amore. Anch’io, del resto, devo la mia vocazione a un campo per disabili, a cui ho partecipato in Liguria, per la precisione a Bordighera. Rimini è bella, lo so bene, ma anche la costa della mia regione non scherza. Lì ho maturato questa mia decisione, lì il Signore mi ha parlato attraverso chi era crocifisso su una carrozzella».

Una frase per i riminesi

«Anche se con la fatica di lasciare il mio mare, sono venuto volentieri qui, sono contento di essere tra voi e spero di poter svolgere il mio servizio serenamente e nella pace».

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