Il "Godot" di Beckett a Russi secondo Terzopoulos

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Un viaggio verso l’altro. Un viaggio verso la scoperta di se stessi. Un “Aspettando Godot” sempre più contemporaneo. È il regista greco Theodoros Terzopoulos, maestro della scena internazionale, a portare in scena stasera al teatro Comunale di Russi (ore 20.45) e domenica al teatro Galli di Rimini (ore 21) il classico firmato Samuel Beckett. Dopo aver diretto alcuni dei capolavori del drammaturgo irlandese, Terzopoulos dà una personale lettura anche dell’opera per eccellenza del teatro dell’assurdo. Sulle rovine di un mondo non troppo lontano dall’oggi il racconto della ricerca del senso della vita, dell’umanità perduta, o forse solo dimenticata, dei due vagabondi Vladimir ed Estragone.

Perché ha deciso di portare in scena “Aspettando Godot”?

«Beckett fa parte dei miei interessi costanti. Quando ho incontrato i due attori Enzo Vetrano e Stefano Randisi, ho pensato a quanto sarebbero stati ideali come Vladimir ed Estragone e a quanto sarebbe stata creativa la nostra collaborazione. La cooperazione con tutti gli attori e gli atri collaboratori è stata eccellente e si è creato un gruppo molto affiatato».

Come si coniuga questa scelta con la sua passione per i classici del teatro greco?

«La mia passione per la tragedia nasce dalla domanda fondamentale che sta nel nucleo della tragedia: «Che cos’è l’uomo, questo sconosciuto?». Si tratta di un quesito che non ha mai smesso di interessarmi e che compare sempre nel mio lavoro. D’altronde il teatro è un’arte antropocentrica. Domanda che attraversa sia il nucleo ontologico della tragedia sia il nucleo ontologico di Beckett».

Quale impronta personale ha dato a questo spettacolo?

«Come in tutti i miei spettacoli, esistono simultaneamente la staticità esterna e la vertigine interna. La velocità interna è pari a quella di una trottola che nel punto in cui raggiunge la massima velocità, sembra letteralmente immobile. Anche la geometria è presente. La scenografia è emblematica, funziona come un'installazione parlante. Non utilizziamo microfoni, abbiamo ottenuto questo risultato attraverso un intenso training e l’esercizio sulla voce e sul corpo. L’obiettivo era quello di realizzare un’opera universale».

Opera molto visiva.

«La scenografia è costituita da un’enigmatica superficie quadrata nera, che funge da elemento biblico che si apre come una trappola, rivelando i volti, e si chiude divorandoli. Le quattro superfici quadrate creano la croce. Il punto in cui le superfici si intersecano è quello che rilascia la massima energia. Ciò contribuisce al carattere rituale dello spettacolo».

Quali sono le caratteristiche dei personaggi?

«Ho affrontato i personaggi come materiali piuttosto che come caratteri del dramma borghese. Sono in uno stato costantemente fluido. Sono materie sospese. Non c'è nulla che si regge, nulla che si consolida, nulla che si spiega. Tutti negano se stessi, tutti crollano su se stessi, tutti si fanno beffe di se stessi. Questa continua ritrattazione e sospensione è la parte più interessante di Beckett».

Quanto è importante la resa corporea?

«L’esercizio con la voce e il corpo allontana l’attore dai limiti della percezione lineare dello spazio e del tempo. Il tempo perde la linearità della convenzione sociale, si espande e si contrae, è lento oppure si evolve a balzi, diventa silenzioso, si proietta nello spazio e provoca fratture nell’immagine solida che ha l’uomo del mondo».

Corpi che comunicano, corpi che indagano dentro se stessi per cercare paure, desideri, istinti dimenticati e scoprire sogni e pazzie di un’intera umanità senza tempo.

Info: 0544 587690

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