Il figlio del dottor Molducci: "Non ho ucciso mio padre"
Movente e accusa. L’occasione per smarcarsi da entrambi è arrivata ieri. «Non ho mai sottratto denaro a mio padre. E con la sua badante non abbiamo mai parlato di ucciderlo». Per due ore circa Stefano Molducci, figlio del dottor Danilo Molducci, medico di base morto in circostanze sospette all’età di 67 anni il 28 maggio del 2021 nel letto della sua abitazione di via Violaro a Campiano, si è professato innocente. Pure un accenno di sorriso da parte sua, nel commentare il fatto di essere «inspiegabilmente accusato di omicidio». Il 40enne di Castrocaro, a processo insieme alla colf del defunto dottore, la 52enne romena Elena Vasi Susma, è stato l’ultimo a essere sentito ieri dalla corte d’assise presieduta dal giudice Michele Leoni (a latere Antonella Guidomei) alla presenzadei difensori Claudia Battaglia e Antonio Giacomini.
Dritta al punto la prima domanda del sostituto procuratore, Angela Scorza. Titolo di studio? «Sono iscritto a medicina - questo l’esordio dell’imputato - mi mancano 5 esami ma non ne do dal 2018». Un chiaro riferimento del pm a quella che secondo la Procura sarebbe stata l’arma del delitto, vale a dire un’overdose di psicofarmaci e antipertensivi che il padre già assumeva in quantità, e che il 40enne avrebbe somministrato con la complicità della domestica forte delle sue conoscenze in campo medico, per provocare un’apparente morte per cause naturali.
L’eredità e gli screzi col padre
Figlio unico e con i genitori separati, avrebbe ereditato tutto. Parliamo di un patrimonio milionario. Non ha fatto mistero del fatto che con il padre ci fossero tensioni: «Minacciava di diseredarmi». Ecco il movente individuato dalla Procura. Il motivo? «Mi accusava di avergli portato via i soldi». Mica spicci. Dal 2010 il medico gli aveva affidato la gestione dei propri risparmi, investiti dal ragazzo alla luce della propria passione per il trading, divenuta la sua unica fonte di sostentamento. Dei 2,3 milioni di euro messi nel mercato finanziario su conti cointestati, alla fine tutto è confluito in un unico conto accessibile solo a lui, azzerando nel 2021 il deposito condiviso con il dottore. Pronto a spiegarne il motivo l’imputato, che è andato sul tecnico; in sintesi, si sarebbe trattato di un’operazione eseguita «per recuperare le minusvalenze». «Provai a spiegarglielo, ma la sua conclusione fu che gli prendevo i soldi». Il buco più sostanzioso nel 2020, quando «durante il covid persi 1.460.000 euro». Cercai di fargli vedere che stavamo rientrando - ha riferito il 40enne, precisando di avere recuperato l’intera cifra «con una plusvalenza di 200mila euro» - ma era diventato diffidente, ormai era partito, e ogni telefonata era accusatoria».Decisioni sospette
Una rottura seria, nell’ambito di un rapporto tra padre e figlio definito dal 40enne stesso «altalenante». Alla fine il dottore aveva mantenuto la parola, e la minaccia di rivolgersi a un avvocato. E proprio nel pieno delle indagini affidate a un investigatore privato per fare luce sui presunti ammanchi nei conti correnti, il 67enne è venuto a mancare. Da quel giorno è stata una raffica di passi falsi ricostruiti dalle indagini della squadra Mobile, di cui il pm ha chiesto spiegazione. A partire dal tempo impiegato la mattina del 28 maggio per arrivare da Castrocaro a Campiano quando la badante lo chiamò ripetutamente per informarlo che il padre «era più affaticato del solito». Ci mise oltre un’ora. «Forse non diedi il giusto peso alla situazione», si è giustificato ieri, spiegando che «sarei dovuto andare dalla guardia di finanza per una questione di omesse dichiarazioni fiscali».Poi la seconda mossa sospetta: la decisione di sbarazzarsi di alcune confezioni di farmaci prese da casa del padre. «Li trovammo sotto una borsa. Pensammo che se li avessero visti si sarebbe aggravata la situazione della badante». Già. Perché la colf era indagata da inizio anno alla luce di alcune ricette falsificate per l’acquisto di medicinali, nell’ambito di un’inchiesta che appena due giorni prima del decesso aveva portato i carabinieri a effettuare un sequestro in casa del medico. «Stropicciai le confezioni e le buttai, mentre i blister li portai in via Romea sud per sbarazzarmene, poi però temendo di inguaiarmi cambiai idea e me li riportai a casa e me li tenni in cantina».
La volontà di scagionare la colf spiegherebbe anche - parole del 40enne - come mai il giorno stesso del decesso si informò per fare l’autopsia, pur convinto che la morte fosse per embolia polmonare, chiedendo un riscontro per overdose da benzodiazepine. «Ho pensato fosse opportuno per fugare ogni dubbio, ma anche per tutelarmi qualora la storica donna di mio padre con la quale non ero in buoni rapporti insinuasse che mi fossi messo in combutta con la nuova badante».
Soldi nascosti dopo la morte
L’accusa torna sul denaro, citando le movimentazioni economiche fatte dall’imputato durante il lutto. Come 382mila euro bonificati a un avvocato forlivese e giustificati da Stefano come una clamorosa truffa immobiliare. «Me lo presentò un compagno di partito ( il Pd di Castrocaro, di cui il 40enne è stato segretario, ndr), millantava mirabili affari, finché nel 2017 non fui convocato dalla Guardia di Finanza e scoprii che mi aveva preso in giro per anni. Grazie a quel personaggio ho perso anche tutti i risparmi di mia madre». Infine i prelievi in contanti per la bellezza di 420mila euro, dopo avere scoperto di essere indagato per omicidio. «Ho temuto di trovarmi con i conti bloccati. Li ho tenuti in casa ben nascosti. Ora li ho riversati tutti». Questione di interessi, ha puntualizzato rimarcando il fiuto per la Borsa: «Quest’anno i tassi erano validi».Gli approfondimenti sul Corriere Romagna, in edicola